La questione palestinese e il destino della Striscia di Gaza sono sempre stati al centro del dibattito tra i candidati che negli anni si sono contesi il ruolo di primo ministro dello Stato ebraico, come dimostrato anche dall’ultima campagna elettorale che ha visto Benny Gantz e Benjamin Netanyahu promettere la distruzione di Gaza e l’annessione della Palestina. Ma la questione palestinese è diventata terreno di scontro anche all’interno del Likud, il partito guidato tuttora dal premier uscente Netanyahu. La sua leadership è stata messa in discussione del segretario di Gabinetto Gideon Saar, che ha recentemente sfidato Netanyahu con l’intento di sottrargli la carica di leader del partito e suo rappresentante alle prossime elezioni. Dopo mesi di trattative, i leader del Likud e di Blu&Bianco non sono riusciti a giungere a un accordo per la formazione del nuovo Governo, per cui sono stati costretti a proporre il ritorno alle urne. Il terzo in meno di un anno.
Netanyahu attacca Saar
Prima di iniziare una nuova campagna elettorale contro i suoi avversari esterni, il premier uscente Netanyahu deve combattere una battaglia interna al suo stesso partito. Il suo ruolo di capo del Likud e suo rappresentante alle urne è stato messo in discussione da Gideon Saar, che da tempo mira all’incarico di primo ministro. Saar ha approfittato di un momento di debolezza di Netanyahu, alle prese con un processo per truffa e corruzione e incapace di garantire al Paese un Governo nonostante due tornare elettorali. Uno dei temi su cui si è già concentrato lo scontro per la leadership del Likud riguarda una delle questioni che da sempre caratterizzano la storia dello Stato ebraico: quella palestinese. Nei mesi passati si è assistito a un botta e risposta tra Netanyahu e Gantz su come affrontare tale tema, ma adesso il dibattito – o meglio, lo scambio di accuse – si è spostato all’interno del Likud. Il premier uscente ha accusato il suo rivale di essere favorevole al ritorno ai confini precedenti al 1967, accettando così una delle richieste della controparte palestinese nella costruzione di un proprio Stato. Secondo la versione fornita da Netanyahu, quindi, Saar è disposto a scendere a patti con i palestinesi, minando quindi gli interessi del suo stesso popolo. Il premier uscente ha sempre fatto della lotta contro la formazione di uno Stato palestinese uno dei suoi cavalli di battaglia, aggiungendo alle parole anche i fatti e attaccando più volte la Striscia di Gaza.
La risposta di Saar
Saar non ha tardato a rispondere alle accuse di Netanyahu. Il segretario di Gabinetto in un tweet ha affermato che “il futuro della Giudea e della Samaria (West Bank, ndr) deve essere assicurato con i fatti e non con le parole: mettiamo fine all’espansione del controllo palestinese sull’area C, che è invece continuato indisturbato per anni. Evacuiamo Khan al-Ahmar dopo innumerevoli rimandi. Applichiamo la sovranità israeliana a tutti i nostri insediamenti, come il Comitato centrale del Likud ha deciso due anni fa”. Saar non si è limitato a presentare la sua versione dei fatti, ma ha anche attaccato l’attuale leader del Likud criticando il suo atteggiamento nei confronti di Hamas e di Jihad islamica. Il segretario si è scagliato contro un possibile accordo con i due movimenti presenti nella Striscia e che non farebbe altro che rafforzarne il potere. “Un simile scenario vorrebbe dire dar vita a un Hezbollah 2 nel sud di Israele. In caso di scontro (…) Israele dovrà pagare un prezzo molto alto”. Secondo Saar dunque non c’è alternativa al pugno duro sulla Striscia, perché qualsiasi concessione ad Hamas o Jihad sarebbe controproducente. Un’affermazione che non stupisce se si considera che Saar si era già fermamente opposto al ritiro delle truppe israeliane dalla Striscia nel 2005. Al di là delle posizioni più o meno intransigenti nei confronti della questione palestinese una cosa è certa: che a vincere sia Netanyahu o Saar, la creazione di uno Stato palestinese continuerà ad essere un progetto irrealizzabile.