Il recente arresto di Julian Assange ha sollevato un prevedibile polverone mediatico. Come spesso accade, l’evento ha diviso gli osservatori in due distinti schieramenti: chi difende Assange e il suo lavoro e chi invece lo attacca, esultando per la sua cattura.

Quelle mail di Assange che hanno incastrato la Clinton

Come spesso accade questo particolarissimo modo di analizzare gli accadimenti, lungi dall’essere figlio di una approfondita e ponderata valutazione, è la semplice conseguenza dell’avere o meno interessi personali nella vicenda. Nel caso di Julian Assange risulta infatti evidentissimo come la schiera dei suoi detrattori sia nient’altro composta che da quei personaggi i cui nomi sono spesso finiti tra i dossier pubblicati da Wikileaks. Una schiera di persone composta principalmente dagli esponenti politici dell’ala liberal progressista e dall’affine apparato giornalistico, conosciuto come mainstream.

Esempio lampante del primo gruppo è sicuramente Hillary Clinton, una delle principali e più note vittime delle indagini di Wikileaks. La candidata democratica alle ultime presidenziali americane finì infatti sotto la lente di Julian Assange proprio nel 2016, a ridosso delle elezioni. In particolare Wikileaks pubblicò oltre un migliaio di mail che riguardavano Clinton e il suo staff, durante il suo periodo come Segretario di Stato. In queste mail emergeva tra le varie cose la responsabilità diretta di Hillary Clinton rispetto all’intervento militare in Libia. “La Libia è stata la guerra di Hillary Clinton, più che di qualunque altro. Barack Obama all’inizio si opponeva. Chi era che la sosteneva? Hillary Clinton. È documentato dalle mail”, ebbe a dichiarare lo stesso Assange poco dopo la pubblicazione del materiale.

Una responsabilità politica enorme alla luce degli 8 anni di guerra civile ed instabilità che hanno sconvolto, e continuano a sconvolgere, la Libia. Un disastro politico ed umanitario che ha avuto ripercussioni pesanti sui Paesi dell’Europa mediterranea, Italia su tutti, in termini di rapporti commerciali e flussi migratori.

Hillary Clinton si vendica su Assange

Hillary Clinton decide però che, prima di pensare anche solo ad un doveroso mea culpa, è molto più importante rendere vendetta ad Assange. “Il motivo del suo arresto è aver cospirato con un accesso illegale a un computer militare, e non per la diffusione di informazioni. Assange deve rispondere delle proprie azioni. Nel 2010 ero Segretario di Stato e queste informazioni militari e diplomatiche contenevano i nomi di informatori delle nostre ambasciate che rischiavamo la vita. Abbiamo lavorato molto per far si che non fossero messi in pericolo, anche creando per loro nuove identità”. In questo modo Hillary Clinton si prende la sua piccola rivincita dal palco del summit “Women in the World”.

Rivincita che però ha più il sapore di pugnalata alle spalle, nel momento in cui il suo detrattore è ormai sconfitto e silenziato. Spetta infatti ai giudici stabilire se le informazioni divulgate da Assange abbiano messo davvero in pericolo la vita di diplomatici e funzionari americani. Quel che è certo è che le mail diffuse da Wikileaks hanno sicuramente compromesso la carriera di Hillary Clinton che, non a caso, ha visto un crollo della sua popolarità con la conseguente sconfitta alle presidenziali del 2016.

La mancanza di responsabilità della Clinton sulla Libia

Se è dunque comprensibile il rancore personale di Clinton rispetto ad Assange stupisce invece come da parte dell’ex Segretario di Stato americano non ci sia mai stata la minima assunzione di responsabilità di fronte a quanto rivelato dai documenti di Wikileaks. L’aver contribuito a fomentare una guerra, tuttora in corso, provocando una crisi umanitaria di notevoli dimensioni solo per portare avanti i propri obiettivi personali di carriera (questo emerge dalle mail pubblicate da Wikileaks) non rientra tra i temi di riflessione proposti dalla Clinton durante questo recente summit.

Eppure una presa di responsabilità in tal senso sarebbe dovuta nei confronti degli elettori del partito democratico cui è stata propagandata l’immagine della primavera araba libica come “speranza per la democrazia”. Persino Tony Blair, pur con diversi anni di ritardo, chiese scusa in Parlamento per l’attacco militare avventato contro l’Iraq. Insomma questa era l’occasione per Hillary Clinton di fare finalmente chiarezza su quei giorni tra il 2011 e il 2012 che sconvolsero il Nord Africa. L’ex Segretario di Stato ha invece preferito scagliarsi contro chi ormai non può più difendersi.





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