Indice Dossier

  1. Tutte le fasi della guerra in Ucraina
  2. Cosa succede a est? La guerra nel Donbass
  3. Dall'occupazione alla riconquista: cosa succede a Kherson
  4. Linee rosse e ipotesi di riconquista. La Crimea al centro della guerra
  5. Ecco dove si decide la guerra in Ucraina
  6. Il populismo di guerra di Zelensky
  7. Com'è cambiata la corte di Putin dall'inizio della guerra
  8. Corruzione, purghe e dimissioni: le lotte per il potere in Ucraina
  9. Il volto della guerra: cosa ci ha insegnato
  10. La guerra dei droni nei cieli dell'Ucraina
  11. Eserciti di Russia e Ucraina a confronto: cosa ha insegnato la guerra
  12. Missili, tank e jet: così la guerra è diventata un banco di prova per le armi
  13. L'industria bellica globale dopo la guerra in Ucraina
  14. Le spie anglosassoni al servizio di Kiev
  15. Tutti gli errori e i problemi dell'esercito russo nella guerra in Ucraina
  16. Dalla maskirovka all'impegno del Wagner: un anno di strategie russe in Ucraina
  17. Un anno di guerra in Ucraina: ecco cosa non abbiamo capito
  18. Sabotaggi dietro le linee nemiche. Così Kiev colpisce la Russia
  19. La guerra in Ucraina e la nuova logica dei blocchi
  20. La guerra in Ucraina: rischi e opportunità per la Cina
  21. Turchia, Israele e Vaticano: a che punto è la mediazione tra Russia e Ucraina
  22. La guerra e lo smarrimento Ue: così la Nato si è “ripresa” l’Europa
  23. La guerra in Ucraina e la partita italiana nella Nato
  24. Un anno di guerra: chi ha davvero aiutato l'Ucraina in Italia
  25. Le armi dell'Italia a Kiev: cosa abbiamo inviato
  26. La partita energetica a un anno dallo scoppio della guerra in Ucraina
  27. Con l’Ucraina ma divisa sugli armamenti a Kiev: il paradosso della sinistra in Italia

La guerra in Ucraina inizia il 24 febbraio 2022. Le operazioni militari vengono avviate dalla Russia subito dopo un discorso, trasmesso alla Tv di Stato poco prima dell’alba, pronunciato dal presidente russo Vladimir Putin. È il secondo importante discorso tenuto in quei giorni. Il primo, trasmesso la sera del 21 febbraio, viene visto come vero preambolo del conflitto per via della comunicazione della scelta di riconoscere le due repubbliche separatiste filorusse di Donetsk e Lugansk.

Il discorso del 21 febbraio 2022

Le due entità cioè sorte nel 2014, a seguito dell’arrivo a Kiev di un governo filo occidentale dopo la rivolta di Euromaidan. I separatisti controllano porzioni della regione nota con il nome di Donbass, lì dove la maggior parte della popolazione viene segnalata come russofona. I disordini del 2014 sono parzialmente frenati dagli accordi di Minsk, siglati tra il 2014 e il 2015. Con quel documento, Mosca e Kiev si impegnano nel far rispettare il cessate il fuoco e a lavorare per la creazione di un’Ucraina federale, dove il Donbass è destinato ad avere maggiore autonomia. Con il riconoscimento delle due repubbliche, la Russia rompe la linea tracciata dagli accordi di Minsk. E tre giorni dopo, rispondendo a formali richieste di aiuto da parte di Donetsk e Lugansk, inizia l’operazione militare contro l’Ucraina.

Ore 5:51 del 24 febbraio: Mosca annuncia l’avvio dell’operazione militare

Il 23 febbraio, nel cuore della tarda serata, arriva la richiesta ufficiale, da parte delle repubbliche di Donetsk e Lugansk, di aiuto alla Russia. I due governi riconosciuti dal Cremlino, in stato di emergenza già dal 17 febbraio, dichiarano di temere un attacco ucraino. Si inizia a capire a livello internazionale che il conto alla rovescia prima dell’attacco russo è prossimo allo zero.

Sono le ore 3:51 del 24 febbraio in Italia, le 5:51 a Mosca, quando Vladimir Putin ricompare in tv. Lo scenario è lo stesso del discorso del 21 febbraio, per molti la televisione russa sta solo trasmettendo un altro stralcio del video registrato pochi giorni prima. Uno stralcio però destinato a cambiare la storia. Putin infatti annuncia ufficialmente di aver iniziato un’operazione militare in Ucraina, volta a preservare la sicurezza della popolazione russofona del Donbass.

Il discorso del 24 febbraio

Ma negli obiettivi si spinge anche oltre: il presidente russo parla anche di demilitarizzazione e soprattutto “denazificazione” dell’Ucraina. Ammonendo l’occidente di non intromettersi, pena “una risposta ancora mai vista nella storia”. Mentre Putin è in onda, a Kiev si sentono le prime esplosioni. La città non comprende subito di essere in guerra: fino alla prima mattinata del 24 febbraio il traffico è ancora intenso, gli uffici sono aperti. Il suono delle sirene antiaeree riporta tutti alla realtà. Il conflitto è appena iniziato.

Le prime operazioni via terra

Le prime immagini che arrivano dall’Ucraina mostrano soprattutto dei bombardamenti. Vengono attuati a Kiev, a Kharkiv, a Odessa, a Mariupol, persino a Leopoli, principale città della parte occidentale del Paese, lontana geograficamente e non solo dal Donbass. Video ufficiali russi, ma anche video amatoriali ucraini mostrano le esplosioni e le deflagrazioni provocate dai raid. Anche i giornalisti presenti in Ucraina annotano i continui allarmi aerei e la presenza di mezzi russi sui cieli del Paese.

Ma dopo le prime luci dell’alba si capisce subito che l’operazione russa non è solo aerea. Il ministero della Difesa ucraino denuncia l’ingresso di truppe russe dal confine con la Bielorussia, dalle frontiere orientali e dalla Crimea. Un attacco a tutto tondo quindi da nord, da est e da sud. Si parla anche di un possibile sbarco anfibio a Odessa e Mariupol, ma la notizia viene smentita.

Le forze russe ai confini dell’Ucraina prima dell’attacco (Gennaio 2022)

La prima vera operazione militare segnalata è quella di Gostomel, lì dove sorge il principale aeroporto a nord di Kiev. I russi inviano qui paracadutisti, l’obiettivo sembra essere quello di conquistare subito lo scalo e farne una base per i soldati entrati dalla Bielorussia e proiettati verso la capitale ucraina. A metà mattinata l’aeroporto viene dato per conquistato dalle forze di Mosca. In realtà ne nasce una cruenta battaglia dall’esito incerto: per giorni le due parti rivendicano il controllo della zona. Ad ogni modo, i russi sembrano sorpresi dalla reazione ucraina a Gostomel. Ai parà russi non riesce infatti l’effetto sorpresa, mesi dopo viene rivelato da alcun fonti di intelligence che gli Usa, a conoscenza dei piani di Mosca, avvisano il governo ucraino dell’operazione attorno lo scalo.

Contestualmente, a poco più di 100 km di distanza verso nord, i russi entrati dalla Bielorussia marciano verso Kiev. Nella serata del 24 febbraio viene conquistata l’ex centrale nucleare di Chernobyl, aprendo così la strada verso l’area a nord della capitale ucraina.

Da est invece i russi premono subito su Kharkiv. La seconda città del Paese ha al suo interno un’importante presenza di popolazione russofona. Mosca spera di fare leva su questo per avere dalla propria parte i cittadini. I soldati inviati dal Cremlino non puntano solo su Kharkiv, ma anche sulle ampie zone di campagna dell’oblast di Lugansk, considerato dall’omonima repubblica separatista come parte integrante del proprio territorio.

L’altra direttrice di attacco segnalata il 24 febbraio è quella meridionale. Le truppe di Mosca entrano dalla Crimea, penisola annessa nel 2014 subito dopo la rivolta di Piazza Maidan. Si dirigono verso nord conquistando subito Nova Kakhova e spingendo a est verso Melitopol e Mariupol e a ovest verso Kherson. Qui l’avanzata russa è più lineare e importante che altrove. Il 3 marzo la bandiera russa sventola già su Kherson, primo capoluogo di regione conquistato dalle forze di Putin.

Forze russe nella regione di Kherson mel febbraio del 2022 (foto: Andrei Rubtsov/TASS/Sipa USA)

L’assedio di Kiev e i tentativi di prendere Kharkiv

Anche se il fronte più importante, sotto il profilo politico, sembra quello del Donbass, in realtà i russi provano da subito ad arrivare nella capitale ucraina. L’obiettivo, mai ammesso ufficialmente dal Cremlino, è mozzare la testa allo Stato ucraino. E quindi mettere i piedi a Kiev e porre fine all’esperienza politica del governo guidato dal presidente ucraino Volodymyr Zelensky. Quest’ultimo, a partire dal 24 febbraio, si presenta costantemente in video su Telegram e sui social con una maglietta che ricorda l’uniforme militare. Zelensky chiarisce di non voler lasciare Kiev e di continuare a guidare il governo e le istituzioni ucraine assieme ai suoi fedelissimi.

La capitale viene bersagliata dai raid, soprattutto in periferia. Via terra, avanzano le truppe entrate dalla Bielorussia e dal nord, tramite le regioni di Sumy e Chernihiv. I militari di Mosca provano una manovra a tenaglia: dal lato nord occidentale si prova ad avanzare dal quadrante di Gostomel, Bucha e Irpin, mentre dal lato nord orientale l’obiettivo è avanzare da Sumy e prendere Brovary.

Nel primo caso, i russi non riescono a raggiungere il centro di Irpin, ultima località prima dei confini amministrativi della città di Kiev. Nel secondo, le truppe inviate da Putin hanno difficoltà nella gestione delle retrovie per via del mancato pieno controllo del territorio, caratterizzato da foreste che appaiono terreno fertile per le imboscate ucraine. È in questo settore che i russi subiscono le prime importanti perdite della guerra.

Occorre poi considerare anche la reazione popolare. Nonostante una popolarità calante per Zelensky prima del conflitto, l’attacco russo determina l’appoggio incondizionato della popolazione all’esercito e alle istituzioni ucraine. A Kiev vengono organizzate barricate in attesa dell’arrivo dei russi, il parlamento autorizza l’applicazione della legge marziale con conseguente inizio della mobilitazione. In molti si arruolano e vengono creati anche gruppi di difesa territoriale.

Emblematica la situazione a Kharkiv. La presenza di una grande comunità russofona non coincide con l’appoggio della popolazione all’operazione militare russa. Il 27 febbraio le truppe di Mosca sono alle porte della seconda città ucraina, ma vengono respinte dopo una feroce battaglia in periferia. Nessuno tra i cittadini dà manforte ai soldati del Cremlino, non c’è alcun appoggio popolare verso le truppe avversarie. Kharkiv rimane in mano a Kiev e viene costantemente bombardata anche in centro. Circostanza che amplifica il sostegno dei cittadini ai soldati ucraini. E che crea forse per la prima volta una forte identificazione della città con la causa ucraina.

Le truppe russe avanzano però a sud di Kharkiv. Tra febbraio e aprile vengono prese alcune località strategiche, considerate come via di accesso al Donbass. Tra queste figurano Kupyansk, Izyum e Lyman.

Mappa di Alberto Bellotto

30 marzo: Mosca annuncia il ritiro dall’area di Kiev

Dopo un mese di guerra, la situazione sul campo vede le truppe russe avanzare soprattutto a sud. La presa di Kherson e dell’area compresa tra la Crimea e il fiume Dnepr, permette a Mosca di dilagare verso Melitopol e Berdiansk. In questo modo l’intera costa del Mar d’Azov è in mano russa e i soldati iniziano ad assediare Mariupol. Ossia uno dei principali obiettivi militari e politici, essendo la città inclusa all’interno dell’oblast di Donetsk e rivendicata dai separatisti.

A Kiev invece i russi vanno incontro a un pesante stallo. Le vie di comunicazione tra il confine ucraino e l’area della capitale sono di difficile controllo: saltano i rifornimenti, vengono uccisi diversi importanti generali, oltre che a numerosi soldati. Molti di questi, come ricostruito inseguito con il ritrovamento dei documenti, sono giovanissimi.

Nel frattempo, anche con la mediazione della Turchia, si apre un canale di dialogo. Il 30 marzo due delegazioni russe e ucraine si incontrano a Istanbul, alla presenza del presidente turco Recep Tayyip Erdogan. Proprio quel giorno Mosca annuncia un riposizionamento dei soldati. Alle proprie truppe viene dato l’ordine di lasciare l’area a nord di Kiev, comprese le proprie postazioni nelle regioni di Chernihiv e Sumy. Se il Cremlino parla di riposizionamento, l’Ucraina invece usa il termine ritiro e parla di prima vittoria contro il nemico.

Tra la fine di marzo e i primi giorni di aprile, i soldati russi rientrano nelle postazioni in Bielorussia e in territorio russo. Gostomel, Bucha, Irpin, Brovary, Borodyanka, Chernobyl, vengono evacuate e ritornano nel pieno possesso delle forze ucraine. Kiev denuncia massacri e fosse comuni, soprattutto nella località di Bucha. Zelensky accusa la Russia, alcune inchieste giornalistiche curate anche dal New York Times parlano di uccisioni contro civili effettuate da alcuni battaglioni provenienti dall’oriente russo. Mosca smentisce e parla di mera propaganda ucraina.

La città di Kiev intanto ad aprile riesce a tornare lentamente alla normalità. Molte barricate vengono tolte, molti cittadini rientrano a casa ed escono dai rifugi di fortuna. La presenza della guerra però è resa palese dai continui allarmi aerei che scuotono la metropoli.

Aprile 2022. Un soldato ucraino nei pressi di una chiesa ortodossa a Bucha (Foto: EPA/ROMAN)

Gli occhi si spostano su Mariupol

Nel secondo mese di guerra tutte le attenzioni sono su Mariupol. La città costituisce il principale porto ucraino sul Mar d’Azov ed è uno degli obiettivi principali della campagna avviata dai russi. Già nel 2014 il suo territorio è passato di mano più volte tra Kiev e i separatisti, fino alla definitiva riconquista da parte ucraina. Anche per questo Mosca punta molto sulla presa della città.

Mariupol risulta circondata già dai primi giorni del conflitto e questo grazie alla rapida avanzata delle truppe russe sul fronte meridionale. Inoltre, separatisti e regolari russi riescono tra febbraio e marzo ad avanzare da est stringendo i soldati ucraini in una morsa. Tra le forze di Kiev, figurano i combattenti del Battaglione Azov. Si tratta di uno dei gruppi nazionalisti più noti nel Paese, attivo già dal 2014 e formato da movimenti che spesso non hanno nascosto simboli neonazisti. Mosca, così come anche alcune organizzazioni internazionali, accusano il gruppo di azioni criminali compiute a danno dei separatisti nel 2014.

Il Battaglione ha sede proprio a Mariupol e anche se dal 24 febbraio i comandanti iniziano a inviare propri membri in altre regioni dell’Ucraina, è in questa città che Azov mantiene il più solido radicamento territoriale. L’impressione quindi è che all’interno della città ci si prepari a una cruenta resa dei conti.

La Russia, oltre ai propri soldati regolari e ai separatisti, schiera a Mariupol anche i combattenti ceceni inviati dal presidente ceceno Ramzan Kadyrov. Presenti anche a Kiev, dopo l'abbandono delle aree attorno alla capitale i ceceni vengono dirottati sulle sponde del Mar d'Azov. La loro esperienza nei combattimenti urbani da subito appare decisiva.

La vera battaglia ha inizio il 18 marzo, quando i russi conquistano l'aeroporto. Ma già da prima Mariupol capisce di essere destinata al ruolo di vera martire del conflitto. I bombardamenti sono infatti incessanti e il 12 marzo un raid colpisce il teatro dell'opera, uno dei simboli della città e in quel momento rifugio per tante famiglie scappate da casa. La situazione umanitarie scivola velocemente verso il collasso. Manca l'acqua, manca la luce, il cibo arriva a singhiozzo. Si prova a far evacuare i civili, ma i corridoi umanitari concordati tra Kiev e Mosca spesso falliscono con accuse reciproche da entrambe le parti.

È in questo terribile contesto che dalla seconda metà di marzo e fino all'intero mese di aprile va avanti la battaglia urbana. I russi avanzano quartiere per quartiere e isolato per i solato. I ceceni conquistano ogni singolo palazzo delle zone nevralgiche, a volte anche entrando negli edifici con grandi scale di legno. Tanto è vero che viene coniato il termine di “battaglia medievale” di Mariupol.

La svolta arriva il 21 aprile. Quel giorno Putin e il ministro della Difesa, Sergej Shoigu, si incontrano al Cremlino con il titolare del dicastero che annuncia al presidente la conquista della città. Manca però soltanto una zona: è quella delle acciaierie Azovstal. Di proprietà dell'oligarca ucraino Rinat Akhmetov, l'impianto prima della guerra era il più grande nel suo genere in Europa. Al suo interno si trincerano gli ultimi combattenti del Battaglione Azov decisi a non arrendersi. Putin dispone l'accerchiamento dell'acciaieria e la sospensione dei combattimenti. Una situazione destinata ad andare avanti per un mese.

Dopo molteplici trattative, mediate dalle Nazioni Unite e soprattutto dalla Turchia, si decide per l'evacuazione dei membri di Azov all'interno dell'acciaieria. Le loro condizioni sono al limite, molti sono feriti e ustionati, senza cure e senza cibo da giorni. Mosca parla di resa, Kiev di azione volta a limitare i danni. Il 22 maggio l'evacuazione viene completata: i combattenti ucraini vengono portati nel territorio di Donetsk in attesa di processi o di scambi di prigionieri. Mariupol viene considerata definitivamente conquistata dai russi.

Dalla conquista di Mariupol alla presa di Severodonetsk e Lysychansk

La presa della città sul Mar d'Azov è un punto importante per Mosca. Il prezzo pagato è però salato: sono morti migliaia di combattenti, la città è in rovina e soltanto il 10% degli edifici è agibile. Ad ogni modo, nei piani del Cremlino c'è adesso l'avanzata in altre parti del Donbass. A partire dalla città di Severodonetsk e della “gemella” vicina Lysychansk.

Severodonetsk, in particolare, rappresenta l'obiettivo politico più importante. Con la caduta di gran parte dell'oblast di Lugansk in mano ai separatisti nel 2014, è qui che Kiev ha spostato il capoluogo regionale. È quindi una delle città più strategiche del Donbass in mano all'Ucraina.

L'avanzata verso Severodonetsk ha luogo tra fine febbraio e aprile. I 30 km che separano la città dalla linea di contatto con i separatisti vengono lentamente conquistati dai russi, i quali avanzano sia da Lugansk che dai propri confini. A fine aprile viene conquistata la città di Rubizne, vera porta di accesso verso Severodonetsk. La caduta di questa località, segna l'inizio della prima fase di assedio del capoluogo provvisorio dell'oblast di Lugansk.

Tuttavia con le proprie truppe ancora impegnate a Mariupol, Mosca decide di rinviare l'assalto finale. A dare manforte ai soldati del Cremlino, ci sono sia i separatisti che ancora una volta anche i ceceni. Così come vengono segnalati mercenari della Wagner, l'agenzia di contractors di Evgenij Prigozin. Per gli ucraini, oltre ai soldati regolari, ci sono membri del Battaglione Donbass e alcuni combattenti stranieri.

Nove giorni dopo la definitiva caduta di Mariupol, inizia la battaglia urbana per la presa di Severodonetsk. Ad annunciarlo è lo stesso governatore ucraino di Lugansk, Sergy Hayday. I combattimenti vanno avanti per l'intero mese di giugno, ma già entro la prima decade si intuisce che la battaglia volge nettamente a favore dei russi. Oltre che per Severodonetsk, si combatte anche per la vicina Lysychansk, strategica in quanto situata su una collina da cui si può avere il controllo del fuoco delle zone limitrofe.

Il 20 giugno i russi annunciano la presa del centro di Severodonetsk, alcuni combattenti ucraini sono rifugiati e assediati all'interno dello stabilimento chimico Azot. Da Kiev il 24 giugno arriva l'ordine agli ultimi soldati ucraini rimasti di indietreggiare ed evitare ulteriori perdite. Severodonetsk cade quindi definitivamente nelle mani di Mosca, sorte toccata il 2 luglio successivo a Lysychasnk.

Lo stallo estivo

A quel punto Mosca sembra nelle possibilità di attaccare gli ultimi due grandi obiettivi del Donbass: Kramatorsk e Slovjansk. Si tratta delle ultime due grandi città della regione in mano a Kiev. L'avanzata da Izyum e Lyman da nord e da Severodonetsk da est, pone i russi nella possibilità di oltrepassare il fiume Siversky Donetsk e proiettarsi verso le due località.

Tuttavia l'avanzata russa si arresta. Le forze russe e filorusse sembrano voler in questa fase consolidare le proprie conquiste a est e rinforzare le proprie linee di rifornimento. Si parla più volte di una possibile offensiva su Odessa, città pesantemente bombardata già da febbraio ma mai raggiunta né via mare e né via terra. L'offensiva di Mosca si arresta infatti poco più a ovest di Kherson e non riesce a sfondare a Mykolaiv.

Anzi, gli ucraini più volte durante l'estate parlano di un possibile contrattacco in questo settore. Il governo di Kiev più volte annuncia di essere pronto a passare da un'azione meramente offensiva a una offensiva. I raid su Kherson e l'arrivo di truppe nella zona sembrano confermare questa intenzione. Per tutta l'estate tuttavia non avvengono importanti cambiamenti sul fronte.

Il primo vero contrattacco ucraino

Con l'arrivo di settembre tuttavia, Kiev prova una manovra a sorpresa nell'est del Paese e non a Kherson. Le informazioni ricevute dai servizi segreti occidentali, così come gli aiuti militari di molti Paesi della Nato, permettono all'Ucraina di pianificare un'azione nell'area a sud di Kharkiv. Tra il 7 e l'8 settembre i militari ucraini si muovono in direzione di Balakleya, prendendo il centro della cittadina. Da qui poi, i soldati si spingono sempre più verso est riconquistando Kupiansk e costringendo i russi a ripiegare a est del fiume Oskil.

Il contrattacco ha successo: Kiev è a conoscenza delle scarne difese russe nell'area e l'effetto sorpresa riesce pienamente nel suo intento. Gli ucraini avanzano così anche verso Izyum e Lyman, città riconquistate nel giro di pochi giorni. Contestualmente, le truppe di Kiev si muovono anche attorno Kharkiv, allontanando definitivamente i russi dalla seconda città del Paese. In 5 giorni, gli ucraini riprendono l'intero oblast di Kharkiv e allontano i russi da Slovjansk e Kramatorsk. Per Mosca una disfatta che costringe, da qui a poche settimane, il presidente Putin ad annunciare una mobilitazione parziale.

Gli ucraini riprendono Kherson

I piani per l'attacco su Kherson non vengono però accantonati. Sfruttando l'inerzia del momento e l'inferiorità numerica dei russi nella regione, il 4 ottobre i soldati di Kiev sfondano il fronte a nord del capoluogo e, in particolare, nella parte a ovest del Dnepr. I russi preparano una lenta e ordinata ritirata, con gli ucraini che avanzano verso Kherson per tutto il mese di ottobre.

Non si hanno grandi combattimenti in questo settore, proprio perché Mosca opta per un ritiro sapendo di non poter difendere a lungo il capoluogo dell'oblast. Una provincia, è bene ricordare, da alcune settimane considerata dalla Russia annessa al proprio territorio assieme a quelle di Zaporizhzhia, Donetsk e Lugansk. Il 12 novembre, le truppe ucraine entrano così nel centro di Kherson, riprendendo ufficialmente la città.

I bombardamenti russi sulle centrali elettriche

La risposta russa alla controffensiva ucraina arriva con dei massicci bombardamenti su tutto il Paese. Il principale dei quali è del 10 ottobre, quando tutte le province dell'Ucraina sono bersagliate da un continuo lancio di missili che va avanti per diverse ore. La stessa Kiev viene colpita con dei raid più intensi della prima parte di guerra. Il bombardamento in questione appare come una risposta al sabotaggio che l'8 ottobre porta al parziale danneggiamento del viadotto sullo stretto di Kerch, ossia la principale infrastruttura di collegamento tra la Crimea e la Russia continentale.

I danni sono ingenti, soprattutto perché a essere prese di mira sono le centrali elettriche. Si calcola che più della metà delle infrastrutture energetiche ucraine risulta seriamente o parzialmente danneggiata. Nei giorni seguenti vanno avanti altri bombardamenti, sempre contro le centrali elettriche. Il governo di Kiev viene quindi costretto a razionare la distribuzione di energia elettrica e a ricorre a frequenti blackout. Per diverse settimane, nella capitale e nelle città principali l'energia viene erogata solo per due o tre ore al giorno.

L'Ucraina affronta così l'inverno al buio e con pochi riscaldamenti. La strategia dei raid contro le centrali si attenua solo con l'avvento del nuovo anno. I tecnici ucraini provano a riparare quanto possibile, ma la logistica civile risulta al momento ben lontana da livelli normali.

La battaglia di Bakhmut

Nel 2023 per il momento l'unico fronte dove si combatte in modo intenso è quello di Bakhmut, nell'est del Paese. La città dell'oblast di Donetsk non è lontana da Kramatorsk. Una sua conquista permetterebbe di avanzare nel cuore dell'ultima parte del Donbass rimasta in mano a Kiev.

Per provare a smuovere la situazione, i russi hanno premuto sull'acceleratore nel quadrante di Soledar, cittadina conquistata a metà gennaio. Qui a entrare in azione sono soprattutto i contractors della Wagnar. La battaglia è ancora in corso e sta causando un numero elevato di vittime. Un inferno capace di travolgere tanto gli ucraini quanto i russi.

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