La complicata vicenda del conflitto in Ucraina esploso nel 2014 e proseguito a corrente alternata e dell’influenza russa su Kiev e l’Europa orientale è normata formalmente dagli Accordi di Minsk del 2015. Formalmente noti come Protocollo di Minsk II, hanno amplificato i primi, infine deludenti, accordi siglati il 5 settembre 2014 dal Gruppo di Contatto Trilaterale sull’Ucraina, composto dai rappresentanti dell’Ucraina, della Russia, e delle repubbliche popolari secessioniste di Doneck (Dnr), e Lugansk (Lnr).
Decisiva per la stipulazione degli accordi è stata la mediazione di Francia e Germania, che con Mosca e Kiev hanno avviato il cosiddetto “Formato Normandia” per le negoziazioni quadrilaterali. Una formula tornata in auge nei giorni in cui, tra fine 2021 e inizio 2022, l’Est d’Europa è tornato a scaldarsi.
Il quartetto formato da François Hollande, Angela Merkel, Vladimir Putin e Petro Poroshenko, in rappresentanza di Francia, Germania, Russia e Ucraina, si incontrò informalmente in Normandia per la prima volta il 6 giugno 2014 in occasione delle celebrazioni per il settantesimo anniversario del D-Day. Per questo il gruppo di contatto ha preso il nome di “Formato Normandia”.
A partire dal primo vertice di Château de Bénouville e da uno successivo tenutosi a Milano in occasione dell’Asia-Europe Meeting dell’ottobre 2014 si è sviluppata una struttura di dialogo volta a spegnere in partenza ogni tensione legata al conflitto in Donbass, a organizzare una de-escalation e a trovare un canale di dialogo volto a non dipendere dal circolo delle sanzioni imposte dall’Occidente a Mosca dopo l’annessione della Crimea.
Dopo aver propiziato Minsk I, in seguito alla debolezza dell’accordo di pace raggiunto Francia e Germania hanno perseguito un rafforzamento del loro coinvolgimento diretto. Minsk II è stato siglato proprio in occasione del terzo round di incontri, nel febbraio 2015, a cui sono seguiti due vertici a Parigi (ottobre 2015) e Berlino (ottobre 2016) prima del grande gelo tra Russia e Occidente legato alle tensioni in Siria e Medio Oriente. Nel 2019, prima del Covid-19 e della crisi odierna, Emmanuel Macron e Volodymir Zelensky hanno voluto riesumare per il sesto e, finora ultimo, summit negoziale il formato tenutosi a Parigi il 9 dicembre 2019 e ha dato il via libera a uno scambio di prigionieri prefigurando un processo che porti l’Ucraina a una modifica costituzionale che garantisca ampia autonomia ai russofoni del Paese, secondo la proposta affacciata nel 2016 dall’allora ministro degli esteri tedesco, oggi capo dello Stato, Frank-Walter Steinmeier.
Il primo punto inequivocabile degli Accordi di Minsk prevedeva un cessate il fuoco immediato tra filorussi e ucraini dal 15 febbraio 2015. Tale accordo è stato rispettato a corrente alternata. Di fatto, dal 2015 ad oggi, nel Donbas si è continuato a sparare. In maniera non continuativa, ma si spara. E la situazione sul campo non è affatto sotto controllo, come dimostrano le recenti escalation.
L’Ucraina ha rivelato, venerdì 3 settembre 2021, di essersi “svincolata” dagli Accordi di Minsk in forma unilaterale dopo aver denunciato una violazione del secondo punto degli Accordi da parte di Mosca. Esso prevedeva esplicitamente il “ritiro di tutti gli armamenti pesanti allo scopo di creare una zona di sicurezza tra entrambe le parti, di 50 km per artiglierie (di calibro superiore a 100 mm), di 70 km per sistema lanciarazzi multipli e di 140 km per versioni di questi ultimi a lunga gittata (9A53 Tornado, BM-27 Uragan e BM-30 Smerch) e per sistemi missilistici tattici OTR-21 Točka”. Ebbene, per Kiev a partire dall’ultima settimana di marzo del 2021, la Russia ha iniziato a trasferire il proprio arsenale militare e le proprie truppe lungo il confine dell’Ucraina dell’Est.
Uscire da un protocollo tanto complesso è però difficile, dato che altri undici punti coinvolgono le parti in causa e si espandono all’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (Osce) a cui è delegata la supervisione degli accordi. Dallo scambio dei prigionieri all’attuazione della riforma costituzionale, dalla tutela delle minoranze russe in Ucraina al ritiro di tutte le formazioni armate straniere, inclusi i mercenari, e dei veicoli militari dal Donbass, va detto,, Russia e Ucraina si sono continuamente superate nel cercare di violare o aggirare i protocolli di intesa.
Kiev nei mesi seguiti all’escalation del 2021 ha iniziato a pensare, nota Il Foglio, che gli Accordi di Minsk del 2015 siano “vantaggiosi per la Russia che infatti insiste affinché tornino al centro delle trattative, ma per l’Ucraina sono una resa e di fatto porterebbero alla perdita di sovranità nella zona del Donbass in cui si sono autoproclamate le due repubbliche separatiste di Donetsk e Lugansk con a capo un governo fantoccio che riconosce soltanto Mosca”. Quest’ultima, invece, ha visto la relazione speciale Merkel-Putin finire con l’uscita di scena della Cancelliera e non si fida delle voci europee quando vede dietro di esse l’ombra lunga dei rivali Stati Uniti. Oggi è però la Francia di Macron a rilanciare il «Formato Normandia» per ridare vita al dialogo tra Russia, Ucraina, Francia e Germania, ripartendo dagli Accordi di Minsk, come del resto auspicato anche dal presidente del Consiglio italiano Mario Draghi nel dicembre 2021.
Gli Accordi di Minsk sono, in un certo senso, nati azzoppati ma hanno aperto la possibilità di un canale agile di discussione. Oggigiorno essi rappresentano l’unica possibile via di uscita, l’unica roadmap disponibile per fermare un’escalation al confine russo-ucraino che è andata ben oltre la semplice prova di forza tra le potenze e ha visto sdoganarsi una mobilitazione di tipo pre-bellico. Uno scenario che solo un ritorno al percorso negoziale avviato tra 2014 e 2015 e la stipulazione di accordi precisi può consolidare.