Quando l’ora “X” è scaduta e le prime esplosioni hanno illuminato il cielo di Kiev, una parte della comunità internazionale ha subito provato a intavolare una mediazione tra Russia e Ucraina. Un modo per fermare da subito il conflitto ed evitare di prolungare le azioni militari. Tentativi importanti sono stati perpetuati da Israele, dalla Turchia, in parte anche dal Vaticano. Al momento, nessuno di questi tentativi è stato coronato da successo. Ma le mediazioni stanno comunque proseguendo, così come i contatti politici tra alcuni degli attori internazionali direttamente o indirettamente coinvolti nel dossier.
La mediazione turca
Il presidente turco Erdogan ha subito condannato l’intervento russo in Ucraina. Poche ore dopo l’annuncio di Vladimir Putin sull’inizio delle operazioni militari, il governo di Ankara ha espresso profonda condanna per quanto avvenuto. Tuttavia, né alla vigilia del conflitto e né in seguito all’inizio della guerra, Erdogan ha sposato in toto le misure degli altri Paesi Nato relative alle sanzioni contro Mosca e alla quasi totale rottura dei rapporti diplomatici.
Al contrario, la Turchia ha continuato ad avere ottimi rapporti con la Russia. E questo soprattutto perché i due Paesi già da anni appaiono come tra i principali attori dei vari dossier che seguono in comune. Ankara e Mosca ad esempio sovrintendono al rispetto del cessate il fuoco nel nord della Siria. Appaiono inoltre i due protagonisti principali nello scacchiere libico. Dalla Turchia passano poi fondamentali snodi energetici per il gas e il petrolio russi. Tanti interessi quindi, impossibili da tranciare improvvisamente.
Allo stesso modo però, Erdogan negli anni ha intessuto importanti rapporti anche con Kiev. Ankara non ha mai riconosciuto l’annessione russa della Crimea e si è anzi fatta portavoce delle istanze della comunità tatara. Inoltre, la Turchia ha venduto agli ucraini decine di esemplari di Bayraktar, i droni tra i più richiesti in ambito difensivo e con i quali l’esercito di Kiev ha potuto da subito bersagliare le postazioni russe.
Alla luce di queste posizioni, la Turchia si è ritagliata un ruolo di primo piano nei tentativi di mediazione tra le parti. Ankara è stata percepita da entrambi gli attori contendenti come un Paese affidabile a cui affidare le proprie istanze diplomatiche. C’è la mano turca dietro i primi incontri avvenuti in Bielorussia tra le delegazioni russe e ucraine. Il 30 marzo forse l’evento più importante: a Istanbul, sotto lo sguardo dello stesso Erdogan, delegazioni di Mosca e Kiev si sono parlate affrontando alcuni dei punti principali del conflitto. A partire dal ritiro dei russi nelle posizioni antecedenti al 24 febbraio e al non ingresso nella Nato dell’Ucraina. Le fosse comuni apparse a Bucha nei primi giorni di aprile, hanno stroncato il percorso inaugurato a Istanbul.
Tuttavia la diplomazia turca è rimasta molto attiva nella mediazione. Il ministro degli Esteri turco, Mevlut Cavusoglu, ha più volte incontrato funzionari russi e ucraini. Ankara e Istanbul hanno inoltre più volte ospitato delegati da Kiev e Mosca, seppur in separate sedi. E sempre in Turchia si sono tenuti incontri tra vertici della sicurezza russa e omologhi statunitensi. Ad oggi, il tentativo di mediazione turco è quello più importante in campo e il più accreditato a essere preso in considerazione nel caso di ridimensionamento dello sforzo bellico di entrambe le parti in guerra.
Il tentativo israeliano
Quella turca è la mediazione più attiva, ma quella israeliana è stata la prima in assoluto a essere stata tentata dopo lo scoppio del conflitto. Lo Stato ebraico ha ottimi rapporti con Mosca e Kiev. Con la Russia, già da diversi anni, Israele ha costanti relazioni per via del dossier siriano. Inoltre, i rapporti diplomatici tra i due paesi sono stati cementificati dalla vicinanza tra Putin e Netanyahu. Con l’Ucraina i rapporti sono sempre stati buoni, per di più il presidente ucraino Zelensky ha origini ebraiche e questo ha contribuito ad avvicinare le due sponde.
A febbraio al timone di Israele c’era il premier Naftali Bennett. È stato lui il primo leader straniero a recarsi a Mosca dopo l’inizio della guerra per provare una mediazione. Il tentativo però non è andato a buon fine. E ad oggi le mediazione israeliana sembrerebbe poco tenuta in considerazione.
I motivi sono da ricercare nel progressivo disallineamento tra lo Stato ebraico e il Cremlino. La fuga da Mosca del capo della comunità ebraica, reo di non aver appoggiato pubblicamente la guerra, la minaccia dell’ex presidente russo Medvedev di interrompere ogni rapporto diplomatico e le tensioni sulla Siria, hanno inclinato l’asse tra i due Paesi.
Tuttavia né Bennett e né il successore Netanyahu, tornato in sella a gennaio dopo le elezioni, hanno per adesso messo in discussione la neutralità. Israele infatti non ha fornito aiuti militari all’Ucraina, eccezion fatta per elmetti e caschi girati all’esercito di Kiev. E ha sempre risposto negativamente alle richieste di Zelensky. Fonti diplomatiche hanno parlato di recente circa una maggior pressione degli Usa su Israele per aiutare concretamente l’Ucraina, la posizione però del governo è rimasta invariata. Segno che ancora forse gli israeliani credono in una propria mediazione.

L’attivismo del Vaticano
Papa Francesco ha subito condannato l’attacco russo contro l’Ucraina. Il Pontefice ha dedicato dalla prima ora di guerra discorsi e parole favorevoli a un repentino ritorno al dialogo. Una posizione, quella della Santa Sede, in linea con quella presa in altre crisi internazionali passate. Basti pensare, ad esempio, all’opposizione di Giovanni Paolo II sia alla prima che alla seconda guerra del Golfo. Tuttavia il richiamo alla pace da parte del Vaticano non era affatto scontato e ha posto la Chiesa Cattolica su un piano molto diverso rispetto a quella ortodossa russa, con cui Papa Francesco negli ultimi anni ha stretto molti più legami.
Gli ortodossi russi infatti, guidati dal patriarca Kirill, hanno subito sostenuto l’azione di Putin. Anzi, più volte il patriarcato di Mosca ha invitato i fedeli a sostenere l’operazione in Ucraina, indicata come “giusta” sia per la difesa della patria e sia per l’attacco contro un occidente considerato oramai lontano dai veri valori cristiani. Parole a cui il Pontefice romano ha risposto ricordando l’essenzialità della pace.
Un gesto molto significativo Papa Francesco lo ha promosso in occasione della via crucis del Venerdì Santo, quando due infermiere, una ucraina e una russa, hanno portato per un tratto assieme la Croce. Gesto non ben visto da Kiev, con la tv ucraina che ha censurato la processione.
Ad ogni modo, al fianco dei richiami alla pace il Papa ha anche avviato un’intensa opera diplomatica. Francesco ha promosso l’invio di aiuti umanitari in territorio ucraino ma, allo stesso tempo, ha anche parlato in un’intervista al Corriere della Sera di una guerra non esplosa improvvisamente. “L’abbaiare della Nato alle porte della Russia – ha dichiarato il Pontefice in quell’occasione – probabilmente ha scatenato l’ira russa”.
La Santa Sede quindi ha espresso una posizione di netta condanna all’operazione, senza tuttavia scontrarsi con Mosca e anzi provando a rinforzare il canale diplomatico. Il segretario di Stato Pietro Parolin, a dicembre ha ufficialmente dichiarato il Vaticano pronto a farsi mediatore tra le parti. Contatti tra Vaticano e Mosca sono stati segnalati soprattutto nella seconda metà del 2022. A dicembre un incidente diplomatico ha rischiato però di comprometterli: il ministero degli Esteri russo ha infatti espresso condanna e perplessità per le parole del Papa su presunti crimini attuati in Ucraina da buriati e ceceni. Ad ogni modo, i canali ad oggi risultano ancora aperti e praticabili.
I contatti tra russi e statunitensi
Occorre infine tenere in considerazione i contatti diretti tra Mosca e Washington. Contatti mai chiusi, come confermato nei mesi scorsi dal consigliere per la sicurezza nazionale Usa, Jake Sullivan. Statunitensi e russi, anche nella fase più critica, hanno continuato ad avere canali preferenziali aperti. Un dialogo che ha avuto come snodo fondamentale la sicurezza nucleare ma che, al tempo stesso, ha riguardato direttamente la guerra in Ucraina.
Del resto, l’obiettivo di Mosca è quello di parlare da pari a pari con la Casa Bianca prima ancora che con Kiev. Ottenendo quindi in tal modo il riconoscimento del suo status di potenza dagli Stati Uniti. Sul finire del 2022, la stampa turca ha riferito di incontri ai massimi vertici della sicurezza tra delegazioni statunitense e delegazioni russe. Si tratta di uno dei tanti segnali emersi circa il costante contatto tra le due parti. Ed è forse su questo canale che, nel prossimo futuro, potrebbe svilupparsi il reale incontro diplomatico capace di far arrivare almeno a un cessate il fuoco.
I colloqui in Svizzera
Alla vigilia del primo anniversario della guerra, nel febbraio 2023 il ministro degli Esteri svizzero Ignazio Cassus ha rivelato l’esistenza di colloqui svolti a Ginevra tra alcune delegazioni. In un’intervista al quotidiano Le Temps, il titolare della diplomazia elvetica ha sottolineato che i negoziati si stanno svolgendo tra rappresentanti non di massimo livello. Tuttavia, le trattative in corso riguarderebbero punti importanti ed è per questo che vige un certo riserbo.
Cassus ha anche specificato che la Svizzera si è offerta, in qualità di Paese neutro, a “offrire tutti i propri servizi a favore di una trattativa”. Nei mesi precedenti, Kiev aveva proposto a Berna di rappresentare i propri interessi in Russia, ma l’eventualità era tramontata dopo il diniego di Mosca.