Il jihadista che parla italiano

KOBANE (Siria) – Jihadista pentito o seguace del Califfo che cerca di salvarsi il collo? Abu Mussa, 34 anni, tunisino, si è arruolato nello Stato islamico fin dalla prima ora, quattro anni fa per poi arrendersi lo scorso mese nell’inferno dell’assedio di Raqqa. Gli uomini dell’antiterrorismo curdo nella regione autonoma di Rojava, nel nord est della Siria, lo portano fuori da un buio corridoio con un cappuccio in testa. Quando capisce che lo stiamo immortalando si inalbera dicendo in inglese di aspettare. Poi si calma e comincia a parlicchiare in italiano. “Ho dei cugini a Verona” spiega mentre risponde alle domande nella nostra lingua, che capisce abbastanza bene. Capelli lunghi, barbone nero, tunica grigia il mujahed sostiene di avere studiato l’italiano a Tunisi per lavorare negli alberghi. In realtà i rapporti con il nostro Paese sono più stretti e delicati. Abu Mussa, nome di battaglia, è parente di un pezzo grosso a Raqqa, storica capitale dello Stato islamico. Addirittura il numero due delle difese del Califfo, l’emiro Abu Hamza, pure lui tunisino. Guarda caso l’emiro ha sposato Sonia Khediri, la giovanissima jihadista italiana partita per la Siria da Treviso. Ed i parenti del prigioniero vivono a Verona nella stessa regione, anche se lui spiega “che i cugini in Italia mi dicevano di andare via da Raqqa e di tornare a casa”. Forse sono solo coincidenze, ma capi importanti dei volontari tunisini della guerra santa internazionale come Noureddine Chouchane e Moez Fezzani hanno vissuto a lungo nel nostro Paese.