I nativi americani contro l’oleodotto, una battaglia d’identità

A circa nove mesi dall’inizio delle proteste, l’ampio movimento sviluppatosi in North Dakota e nei circostanti Stati degli USA contro la realizzazione del Dakota Access Pipeline (DAPL) si mantiene attivo anche dopo aver conseguito alcuni successi importanti. La storia delle proteste del movimento che si oppone alla costruzione dell’imponente oleodotto destinato a collegare Stanley, città del North Dakota situata vicino ai ricchi giacimenti della Bakken Formation, con le raffinerie di Patoka, Illinois, è la storia del “risveglio” delle comunità dei Nativi Americani, più precisamente delle poche migliaia di abitanti della riserva di Standing Rock, sita al confine tra North e South Dakota. Essi sono insorti contro il progetto del DAPL, accusata di minacciare la sicurezza del corso superiore del fiume Missouri, unica consistente fonte di approvvigionamento idrico della riserva, di violare numerosi siti ritenuti sacri e la sovranità dalle tre tribù risiedenti nella riserva di Standing Rock: i Lakota Hunkpapa e Shiasapa e i Dakota Yanktonai, tre gruppi un tempo parte della Grande Nazione Sioux che combatté contro il governo federale statunitense battaglie epiche come quella di Little Bighorn del 1876.