È passato meno di un anno da quando i talebani sono tornati a Kabul. Analisti e commentatori erano convinti che gli studenti del Corano ci avrebbero messo diversi mesi prima di rientrare nella capitale afghana. Così non è stato. “Voi avete gli orologi, noi il tempo”, dicevano i seguaci del mullah Omar agli occidentali. E così è stato. Hanno atteso e poi, non appena ne hanno avuto l’occasione, sono tornati, spostando le lancette dell’orologio indietro di vent’anni. Come se non fosse successo nulla. Come se l’Afghanistan – la stracitata “tomba degli imperi” – non fosse diventato il cimitero di migliaia di soldati da tutto il mondo (tra cui 53 nostri connazionali). Tutto è cambiato perché nulla cambiasse. Neppure i talebani. 

Quando, l’anno scorso, gli studenti del Corano sono tornati a Kabul hanno affermato di esser cambiati. Che gli afghani non erano più quelli del 2001 e che, dunque, bisognava instaurare un regime diverso. Ma è davvero così? Le testimonianze che arrivano dal campo sono contrastanti. A., ex collaboratore dell’esercito italiano, scrive: “Credo che i talebani abbiano bisogno di tempo per conoscere la cultura di oggi e i cambiamenti che ci sono stati in questi anni. E anche per aumentare il loro consenso nelle città. Dicono di esser cambiati, ma bisogna aspettare ancora un po’ prima di capire se la loro è una trappola oppure no”. A. cerca di esser positivo, anche perché non ha altre possibilità se non sopravvivere in un Paese martoriato da guerre perpetue e da sanzioni che stanno mettendo in ginocchio la popolazione. Altri ex collaboratori, invece, non riescono a sperare. Sono convinti di esser stati abbandonati da Roma e contano i minuti che li separano dalla morte. L’ultimo a esser stato colpito, non si capisce se per una questione di soldi o per una vendetta dei talebani, si chiama Hassan Qanoni, ucciso e poi bruciato lo scorso aprile. Queste sono voci, certamente di parte, che arrivano dall’Afghanistan. Ma allora, come facciamo a capire se i talebani mentono oppure no?

L’unico modo è tornare in Afghanistan. Se c’è una lezione che i seguaci del mullah Omar hanno capito davvero è che la comunicazione è tutto. Per questo lo scorso agosto, quando venivano “sfidati” dalle giornaliste occidentali che a muso duro chiedevano loro informazioni su come trattavano le donne, non facevano nulla. Sapevano che non potevano permettersi la più piccola sbavatura e, quindi, seguivano il copione.


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CAUSALE: Reportage Afghanistan
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Oggi, per i pochi che lo vogliono, le porte dell’Emirato islamico, sono aperte. Per questo abbiamo deciso di mandare i nostri reporter, Daniele Bellocchio e Marco Gualazzini, in Afghanistan. Ascolteranno i talebani e le loro ragioni, se mai ce ne sono. Cercheranno di raccontare le piaghe di dolore che formano il corpo di questo Paese, dove le persone vivono nella povertà assoluta e, talvolta, sono anche costrette a vendere i propri organi per acquistare un po’ di cibo.

Ci fidiamo della vulgata dei talebani? No. Ma non possiamo prescindere da loro per comprendere questo popolo che, magari controvoglia, li ha accolti nuovamente. Per viaggiare nell’Emirato islamico, in questo Afghanistan così diverso rispetto a quello che dal 2014 abbiamo raccontato con Fausto Biloslavo, abbiamo bisogno di te. Sostienici.

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