“L’Italia era uno dei principali, se non il principale, partner europeo della Siria fino al 2010”; lo ripete più volte, raggiunto da Gli Occhi della Guerra, l’ambasciatore Edin A’ala, rappresentante del governo di Damasco presso la sede Onu di Ginevra; da quell’ufficio, ha visto passare negli anni tanti colloqui e tante riunioni internazionali per la Siria, senza che però sia mai uscito qualcosa di concreto. Ma Edin A’ala è anche profondo conoscitore del nostro Paese: accreditato presso la Santa Sede, negli anni ha avuto modo di parlare della crisi siriana sia con Ratzinger che con papa Francesco, riuscendo con il tempo anche a conoscere al meglio gli ambienti romani.
“Stiamo lavorando per riaprire un’ambasciata in Italia”
“Sono accreditato presso la Sante Sede e dunque non risiedo nella vostra capitale ma la frequento – ripete poi l’ambasciatore, rispondendo alla domanda sui rapporti con Roma – Avverto perfettamente l’importanza del ruolo che potrebbe avere l’Italia. Economicamente e commercialmente, i rapporti tra i due Paesi prima della guerra erano vitali ed importanti, oltre che permeati dal reciproco rispetto”.
Il rappresentante del governo di Damasco ricorda poi il livello delle relazioni tra Italia e Siria fino al 2010, anno in cui l’allora presidente Napolitano si è recato fino a Damasco elogiando il livello di laicità e di apertura raggiunto sotto il governo di Assad: “Prima della guerra, Roma era il principale partner del mio Paese a livello commerciale ed economico della zona Ue”.
Un ricordo delle passate relazioni, interrotte poi già dallo scoppio della guerra, ma nelle risposte dell’ambasciatore emerge anche una speranza per il futuro; alla domanda sulla possibilità di poter rivedere aperta l’ambasciata siriana a Roma, il rappresentante di Damasco presso il Vaticano risponde senza mezzi termini: “Sono fiducioso, ci stiamo lavorando. Posso confermare che ci sono contatti affinché fra non molto si ritorni ad avere una sede diplomatica del mio Paese in Italia. Purtroppo ci sono stati non pochi problemi negli anni, di natura politica oltre che tecnica, ma stiamo lavorando con tutte le parti in causa per riaprire l’ambasciata. Del resto, la nostra esperienza contro il terrorismo può essere messa a disposizione anche del vostro paese”.
“Da sette anni lottiamo contro i terroristi”
Hussam Edin A’ala parla con un inglese fluente, ma al tempo stesso scandisce per bene ogni singola parola; emerge, nelle sue intenzioni, la volontà di spiegare al meglio la situazione; è per questo che, alla domanda su quelle che sono le priorità attuali del governo da lui rappresentato, non ha esitazioni nel parlare di due punti fondamentali: terrorismo e sanzioni.
“Dal 2011 siamo impegnati nella lotta senza quartiere contro i terroristi – spiega l’ambasciatore – Il terrorismo è una grave piaga che affligge il nostro Paese e mette in ostaggio il nostro popolo. Nei telegiornali qui in occidente questo spesso non trapela e non si vede. Togliere i gruppi jihadisti dalla Siria è impegno categorico del mio governo, che persegue dall’inizio della guerra”.
Uno spazio poi viene riservato, nella risposta del diplomatico, alle prospettive future della lotta al terrore jihadista: “Chi oggi – afferma Edin A’ala – Si trova in Siria a muovere guerra nel nostro Paese, potrebbe domani ritrovarsi in Europa a creare problemi anche qui. La lotta al terrorismo è un qualcosa che deve coinvolgere tutti”.
“Basta con le sanzioni”
“Se lei mi chiede quali sono le priorità, le dico subito che immediatamente dopo il problema del terrorismo, viene quello economico”. Ecco dunque che l’ambasciatore siriano tocca il nodo spinoso delle sanzioni, raramente affrontato durante gli anni del conflitto: “Da questo punto di vista – prosegue Edin A’ala – Le sanzioni occidentali e dell’Europa in particolare impediscono al nostro paese di poter avviare in tempi brevi un percorso di normalizzazione. Sconfiggere il terrorismo è una priorità certamente, ma non solo le bombe e le armi fanno vittime: le sanzioni sono presenti da troppi anni ed è arrivato il momento di ridiscuterle per il bene del popolo siriano”.
Anche in questo caso, il suo inglese è ben scandito ed i toni appaiono netti: secondo l’ambasciatore, non è possibile parlare di normalizzazione della Siria e di uno ristabilimento delle condizioni se prima non vengono tolte le sanzioni e tutti i vari impedimenti al ritorno di investimenti nel proprio paese. Le sanzioni contro la Siria sono state approvate dall’Ue nel 2011, ufficialmente per colpire persone legate al governo di Assad accusato all’epoca di reprimere nel sangue le manifestazioni nel proprio paese. Nei fatti però, come ha avuto modo di sottolineare lo stesso Edin A’ala, queste misure non permettono transazioni finanziarie ed esportazioni di greggio e materie prime, vitali per poter riavviare l’economia quanto meno nelle regioni dove da tempo non si combatte più.
Nello scorso mese di maggio, l‘Ue ha prolungato le sanzioni per un altro anno: ufficialmente, questo provvedimento scadrà il 1 giugno 2018, da Damasco si aspetta di sapere le intenzioni circa un eventuale altro rinnovo oppure un’auspicata eliminazione.
“Se la Siria si ristabilizza, i profughi ritorneranno a casa”
Un’ultima battuta infine l’ambasciatore la concede sul versante umanitario: “In tanti sono andati via dalla Siria dal 2011 in poi – afferma Edin A’ala – Intere famiglie sono dovute scappare dai terroristi e dalla distruzione dei combattimenti”. I numeri parlano di migliaia di profughi sia interni alla Siria, ossia quelli spostatisi da un punto all’altro del paese per ragioni di sicurezza, che diretti all’estero: tra quest’ultimi, in tanti sono attualmente ospitati in Libano, altri hanno percorso tra il 2015 ed il 2016 la cosiddetta “via balcanica” provando ad arrivare in Europa.
“La verità è – conclude il rappresentante di Damasco – Che nessun siriano vuole rimanere lontano da casa. Se la Siria torna ad essere ristabilizzata ed un paese normale, allora vedrete senza dubbio che tutti i profughi torneranno nelle città d’origine. Del resto è già successo così ad Homs ed Aleppo, dove non si combatte più”.