Si riprende a parlare di terrorismo internazionale e jihad. In Italia notizie di arresti e indagini si riprendono i titoli dei giornali, in attesa di quell’effetto fisarmonica che presto o tardi rimetterà in un angolo la paura quotidiana.

Nonostante il turn over fra angoscia e menefreghismo, una finestra sugli errori commessi negli ultimi anni sembra comunque aperta. La società civile prende coscienza di uno stato di cose ritenuto intollerabile secondo i semplici canoni del buon senso.

È un passo in avanti fatto da tutta l’Europa, cuore di quella civiltà occidentale oltraggiata oltre misura da una patologia forse ancora curabile: la vocazione al suicidio.

Tra tutti i Paesi della famiglia europea colpiti dal terrore e sfiorati dalla consapevolezza, uno più di tutti sembra però ritagliarsi uno spazio speciale: la Francia.

La sequenza di morte che ha colpito il Paese negli ultimi anni è impressionante. Tolosa, Parigi, Nizza, Rouen, Marsiglia… centinaia di morti in attacchi deliberati che si sommano a decine di altri sventati per caso.

L’ultimo della serie è quello di Trebes, che in realtà rimbalza alle cronache per il gesto eroico del gendarme Arnaud Beltrame più che per il fatto in sé.

La domanda a questo punto, sorge spontanea. Benché il terrorismo islamico abbia colpito in quasi tutto l’Occidente, perché tanto odio si è concentrato soprattutto contro la Francia?

Con buona certezza, la società francese offre un ottimo esempio di quella tipica contaminazione occidentale fatta di vecchi retaggi ideologici e presunti progressi sociali, ad oggi diventati la culla ideale di un senso di colpa universale. Viviamo in una società in cui il “ben ci sta” fa parte della cultura popolare condivisa, quasi che l’homo occidentalis sia la causa di ogni male ed efferatezza compiuta sul pianeta Terra e debba finirne sempre e comunque per farne le spese.

Nessuno meglio della Francia, Paese coloniale, antipatico e imperialista per antonomasia, incarna questo stereotipo di vittima della nemesi storica. Tanto per intenderci, esiste un sentimento popolare latente secondo cui per ogni attentato subito, in fondo c’è una colpa da scontare a favore di un generico Terzo Mondo.

Per capire il grado di alienazione che stiamo vivendo, basta pensare alla donna vegana che inneggia all’uccisione del macellaio del supermercato di Trebes per mano del terrorista islamico Lakdim.

Viene da pensare che non ci sia bisogno dell’integralismo jihadista per spazzare via la nostra civiltà…

Quanto detto però giustificherebbe il perché la guerra al terrorismo e ai fenomeni ad esso correlati (immigrazione incontrollata su tutti) vengano trattati con estrema cautela dagli addetti ai lavori, quasi che la sensibilità buonaiola collettiva sia più importante della soluzione del problema stesso.

In sostanza, il quesito principale rimane: perché il terrorismo colpisce soprattutto Parigi?

Le ragioni sono diverse.

In primis, la Francia è il Paese che meglio di altri simboleggia il naufragio della società multiculturale. A partire dagli anni ’60, il definitivo tramonto dell’empire ha comportato l’assorbimento di milioni di cittadini, futuri francesi per lingua e domicilio, ma mai integrati in un tessuto sociale a cui sono sempre stati sostanzialmente alieni.

I veri rigurgiti non sono arrivati tanto dall’Indocina, quanto dall’Africa, in particolare dal Maghreb. Già negli anni ’90 con gli attentati del Groupe Islamique Armé, Parigi aveva assaggiato la scia sanguinosa di un fenomeno enorme sviluppato in tempi molto rapidi. Ora che i numeri demografici e i rapporti fra banlieu e borghesia sono cambiati, aumentano le rogne.

Questo primo aspetto accomuna la Francia al Regno Unito, suo alter ego nella corsa al dominio del mondo degli ultimi tre secoli. Unica differenza è che i pericoli brit non vengono solo dal mondo arabo ma anche da quello asiatico. Se Parigi fa i conti coi sussulti maghrebini, Londra deve tenere a bada la quinta colonna del subcontinente indiano.

Rispetto alla Gran Bretagna, la Francia ha però una particolarità che la rende più fragile, resa ancora più evidente da Brexit.

Parigi oltre ad essere un’ex potenza coloniale, è il cuore geografico di un continente che ha deciso di rimodellare i criteri di libertà, secondo principi non sempre chiarissimi.

Parlare di sicurezza in un’Europa dove entrare e uscire da un Paese è più facile che farlo da un supermercato (quello di Trebes compreso…), fa semplicemente ridere. Prima ancora che un problema d’identità (chi e dove siamo), è uno spunto pratico.

La Francia rappresenta la sintesi massima di quanto è diventata oggi l’Europa: una foglia staccata dal ramo, in balia di qualunque brezza. Essere un ex impero coloniale che ospita almeno due generazioni di non-integrati su un territorio posto al centro di una terra di nessuno, rende le attuali contromisure sull’antiterrorismo un semplice palliativo.

In Europa forse solo il Belgio può vantare una situazione tanto delicata.

Ultimo fattore che fa della Francia il bersaglio preferito dell’odio islamista è probabilmente il peso politico di Parigi.

Se finora abbiamo accennato alle criticità interne che espongono i cugini, è anche vero che il protagonismo francese in giro per il mondo alimenta i contraccolpi antioccidentali più che mai sul suolo d’oltralpe.

Per quanto ridimensionata come potenza geopolitica, la Francia è ancora molto presente nelle aree di cui un tempo era padrona. In particolar modo va annotata la presenza economica, politica e militare di Parigi proprio in quelle regioni di maggiore crescita islamista, su tutti l’Africa subsahariana.

Le attività nel Sahel, fanno della Francia ancora il simbolo di un colonialismo mai seppellito nella retorica antioccidentale, a cui il proselitismo integralista attinge a pieni mani.

Che sia in Medio Oriente, nel Sahel o nell’Africa Equatoriale, Parigi ancora oggi tutela i suoi interessi senza mezze misure, a dimostrazione che se l’empire non c’è più, il senso di grandeur tra gli alti ranghi della politica e della diplomazia francese è tutt’altro che finito. Secondo la logica islamista cresciuta intorno al risentimento antioccidentale, non ci può essere nemico più grande.

Esiste un’alternativa a tutto questo? il dilemma è davvero “retrocedere su tutta la linea o essere inesorabilmente colpiti”?

Gli attentati in Francia degli ultimi anni forse ci offrono questa opportunità: capire se sia possibile un futuro di pace e rispetto universale senza per forza rinunciare alla propria identità, alla propria cultura e alla propria storia.

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