Non si possono cercare scorciatoie dialettiche o imbonimenti retorici per descrivere quanto sta avvenendo in Mozambico: il Paese africano è travolto dalla guerra civile. Nelle regioni settentrionali, sopratutto nella provincia di Cabo Delgado, zona costiera a 1800 chilometri dalla capitale Maputo, lo scontro tra la formazione jihadista Ansar Al Sunnah, inizialmente battezzatasi Al Shabaab come i qaedisti somali, e le truppe regolari, ormai è aperto e costante. Una guerra che ha dei connotati diversi rispetto ai conflitti di religione divampati in altre aree del continente africano. Qui, infatti, il terrorismo non si pone come unico fine quello dell’imposizione della sharia, la volontà dei mujaheddin è quella di mettere mano sulle preziosissime ricchezze del sottosuolo mozambicano, essendo il nord del Paese una zona ricca di giacimenti che fanno gola a tutti gli attori coinvolti: multinazionali, governo e ribelli. Una delle differenzi maggiori tra questa sollevazione salafita e le altre che si sono viste in Africa e in altre parti del pianeta, sta proprio nella propaganda. I ribelli, denunciando l’assenza di infrastrutture governative, il livello di povertà estrema della popolazione e la svendita delle ricchezze del Paese alle multinazionali, stanno attirando a sé un’ampia fetta della popolazione, proponendo sé stessi e l’instaurazione dello Stato islamico come unica alternativa concreta a uno stato centrale assente e solo argine alla penetrazione estrattiva da parte delle grandi compagnie multinazionali.
Sebbene le prime incursioni da parte di Ansar Al Sunnah siano da far risalire al 2017 è negli ultimi mesi che l’avanzata del gruppo islamista si è intensificata e ad oggi il bilancio degli scontri è drammatico: oltre 300mila sfollati, una crisi alimentare che ha spinto il World Food Programme ha chiedere un aiuto urgente di 4,7 milioni di dollari e un’esplosione indiscriminata della ferocia e della violenza.
Nelle ultime ore, sulla rete, è stato diffuso un video, divenuto virale in breve tempo, che rivela come il nord del Mozambico sia caduto in una spirale di orrore all’interno della quale tutte le parti in causa fanno ricorso alla violenza e alla ferocia più ferina. Ad essere incriminati, nel video in questione, non sono gli islamisti ma le truppe regolari, le Fadm (Forze armate di difesa Mozambico) che dovrebbero contrastare le bandiere nere ma che invece, a quanto pare, si accaniscono anche loro contro la popolazione in modo impunito e indiscriminato.
BLACK LIVES WONT MATTER until Africans stand up for their fellow Africans
VERY graphic video shows men in military uniform in Mozambique – apparently Cabo Delgado – chasing a naked woman, beating her with sticks and then killing her with several gunshots.
Video: courtesy pic.twitter.com/1s0G3tiFqJ— Opiyo Jnr (@john_Opiyo_Jnr) September 16, 2020
Una donna, nuda, spogliata anche dei vestiti, sta fuggendo lungo una strada. I soldati governativi la rincorrono e l’accusano di essere una terrorista. Uno dei militari la raggiunge e inizia a bastonarla, poi un collega impugna il kalashnikov le scarica una raffica contro e a quel punto tutti i soldati governativi presenti impugnano le armi, MK-47 e MPK, e iniziano a svuotare i caricatori sul corpo ormai esanime della donna. Il video termina poi con il primo piano di Ramiro Moises Machatine, l’autore del filmato, che dopo aver ripreso la donna martoriata si ritrae con le dita in segno di vittoria. Una sequenza di immagini impressionanti, indegne e che ha legittimamente generato scandalo e messo sotto accusa il Ministro della Difesa del Mozambico e tutto l’apparato delle Forze Armate. In prima battuta il governo di Maputo ha dichiarato che si trattava di un falso o che comunque non riguardava l’esercito nazionale poi, dopo che Amnesty International, con prove alla mano, ha dimostrato che era invece un video autentico. Il ministro della Difesa ha commentato così alla Bbc: “Una cosa orribile bisogna far luce su quello che è accaduto”. Amnesty ha già avviato una propria inchiesta riuscendo a identificare dove e quando è stato girato il video, ma nonostante le prove c’è chi all’interno del governo mozambicano preferisce insabbiare piuttosto che far luce sull’ignobile omicidio. Il ministro dell’Interno Amade Miquidade ha infatti assolto i soldati regolari accusando invece gli jihadisti di aver usato divise militari mentre uccidevano la donna allo scopo di diffondere propaganda anti-governativa.
Non è stato questo il primo episodio in cui vengono ritratti in video dei soldati africani che abusano del proprio potere e compiono nefandezze scioccanti ai danni della popolazione civile. Inside Over e ilGiornale.it si erano occupati a luglio 2018 di un video in cui venivano ripresi dei soldati camerunensi fucilare donne e bambini accusandoli di essere dei fiancheggiatori di Boko Haram. Una storia agghiacciante arrivata ad un epilogo solo dopo che l’emittente britannica Bbc aveva indagato e tramite un inchiesta giornalistica erano affiorati i nomi dei colpevoli ed era stata provata l’autenticità del girato. In quel caso il governo di Yaoundé prese provvedimenti ma a quanto pare il fenomeno in Africa, dopo quanto è avvenuto in Mozambico, è molto più diffuso di quanto si possa immaginare e rimangono quindi ancora valide e attuali le domande che ci ponemmo in occasione del servizio sul video camerunense: ”quanti altri casi di esecuzioni sommarie si sono verificati in nome della guerra contro l’islamismo e non si conoscono? Quante violazione dei diritti umani sono state commesse in nome della lotta alla jihad? Quante volte l’orrore è stato utilizzato come antidoto al terrore?” .
Al momento rispondere a questi interrogativi è impossibile, ma visto quanto accaduto nelle ultime ore, è legittimo pensare che la realtà possa essere ben peggiore di quanto ci si possa spingere a ipotizzare.