Sapeva di poterla fare franca in qualsiasi modo e in qualsiasi occasione. E così, quando la polizia lo ha fermato, Cesare Battisti ha cominciato a pensare a un controllo di routine. Uno dei tanti controlli che possono avvenire per le strade della Bolivia. Ma ben presto ha capito che le cose sarebbero andate diversamente e che la sua fuga durata 37 anni sarebbe presto finita. Fim de jogo, fine dei giochi. 

Aveva in tasca poche cose: una carta di credito ormai inutilizzabile, qualche spicciolo e otto fogli su cui aveva scritto qualcosa e sui quali gli inquirenti hanno messo gli occhi. Cosa c’è scritto lì? Ci sono i nomi della rete che in questi anni l’ha coperto e che forse era ancora disposta a proteggerlo in Bolivia?

Già, la rete. Se Battisti ha potuto vivere tutto sommato tranquillo 37 anni di latitanza era perché aveva importanti amicizie politiche e conosceva il mondo della criminalità. 

Quando è stato portato in caserma, riporta sempre Il Corriere, il terrorista era ancora convinto di potersi salvare grazie ai soldi su cui può fare affidamento: “I tanti soldi pagati ai criminali per garantirgli una rete di covi, e che lo hanno terribilmente indebitato”.

A Santa Cruz, in Bolivia, Battisti si sentiva sicuro. Era consapevole che le amicizie politiche, in particolare quella con il vicepresidente Álvaro García Linera potessero ancora salvarlo. Ma il terrorista è stato sacrificato sugli altari della real politik. La Bolivia non permettersi passi falsi con l’Italia e poi voleva dare anche una lezione al Brasile di Jair Bolsonaro e così l’ha estradato direttamente verso il Belpaese, dove atterrerà oggi intorno a mezzogiorno. 

Per prenderlo, l’Interpol ha scandagliato i bassifondi della criminalità boliviana. “La mappatura, enorme, dei telefonini di personaggi legati al mondo della mala, personaggi che a loro volta hanno permesso di agganciare pezzi grossi; l’ incrocio tra quei cellulari e altri numeri che si credeva fossero in uso al latitante o comunque a chi lo custodiva; giorni e notti a leggere, sottolineare, barrare, per cristallizzare precise aree; e di nuovo giorni e notti a camminare, chiedere porta a porta, raccogliere testimonianze da verificare”, scrive Il  Corriere.

Ma Santa Cruz è stato solamente l’ultimo covo di Battisti. Uno dei tanti. Il terrorista infatti, riporta sempre il quotidiano di via Solferino, “ha avuto a disposizione un consistente gruppo di fiancheggiatori, sembra fornito dai narcotrafficanti, e un altrettanto elenco di appartamenti, ripetutamente cambiati per non lasciare indizi”.

I soldi per lui erano diventati un vero e proprio tormento. Si era indebitato fino al collo e ora c’era chi quei quattrini li voleva indietro, tanto da poter barattare la libertà del terrorista. 

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