L’ombra dell’integralismo islamico torna ad allungarsi sull’Asia meridionale. Dopo anni di calma apparente, e a quattro dalla caduta dello Stato islamico in Siria, l’ideologia del gruppo estremista ha riacquistato verve, dando l’impressione di poter compromettere gli equilibri del sudest asiatico.
A destare maggiori preoccupazioni sono l’India e il Pakistan, le nazioni geograficamente più vicine all’Afghanistan, culla di una miscela di gruppi terroristici pronti a compattarsi in un movimento più organico. Ma anche altri Paesi, come Indonesia, Filippine e Malesia sono considerati a rischio.
Un valido termometro per misurare l’ascesa dell’Isis-K, il ramo più attivo dello Stato islamico, è per adesso ben visibile sui social network, dove i membri del gruppo stanno utilizzando massicce tattiche di propaganda e reclutamento, volte a radicalizzare gli individui più vulnerabili per prepararli a compiere atti violenti o attentati.
Lo scorso ottobre, ad esempio, l’Isis-K è stato riconosciuto responsabile delle esplosioni di Coimbatore e Mangalore, in India, in una dimostrazione che può rappresentare un tentativo di dimostrare tanto le sue capacità operative nel subcontinente indiano, quanto la sua espansione silenziosa nella regione. Non a caso, Asia Times ha scritto che le agenzie di sicurezza indiane dovrebbero prendere sul serio questa minaccia, lavorare in modo proattivo per prevenire ulteriori attacchi da parte dell’Isis-K e di altri gruppi estremisti, e chiedere aiuto ai partner regionali.

L’Isis-K minaccia l’Asia meridionale
L’obiettivo dell’Isis-K consiste, in teoria, nello stabilire un califfato islamico in Afghanistan. Il ritorno al potere dei talebani a Kabul, nel 2021, ha tuttavia creato una complessa situazione di sicurezza nel Paese (e nella regione), incoraggiando vari gruppi terroristici a portare avanti la loro agenda e ad attrarre reclute.
Uno dei modi in cui l’Isis-K riesce a reclutare membri consiste nell’approfittare delle difficoltà e del settarismo delle minoranze religiose presenti in tutta la regione del sudest asiatico. Presentandosi come un difensore dei diritti di tali minoranze, nonché sostenitore degli oppressi, il gruppo ha calamitato persone che si sentivano emarginate o private di diritti civili da parte dei loro governi.
In India, l’uso della propaganda online e della messaggistica mirata ha aiutato l’organizzazione terroristica a reclutare membri e creare supporto per la sua agenda. In che modo? Condannando il nazionalismo indù e difendendo le minoranze musulmane insoddisfatte. Ma anche pubblicando libri che descrivono come impegnarsi nel jihad tradotti nelle varie lingue locali.
Il ruolo degli Usa
Una situazione del genere può offrire un’importante occasione agli Stati Uniti. Già, perché l’ascesa del fondamentalismo islamico nel sudest asiatico richiede una risposta globale e coordinata. Washington ha un forte interesse nel contrastare la minaccia del terrorismo, dati i legami dell’Isis-K con la rete dell’Isis, e considerando le possibilità che ha il gruppo di destabilizzare una regione geopoliticamente rilevante nel confronto con la Cina. Da questo punto di vista, gli Usa possono fornire ai governi dell’Asia meridionale un sostegno significativo nella condivisione dell‘intelligence, nel rafforzamento delle capacità e nell’impegno diplomatico, nonché nel contrastare il finanziamento del terrorismo e l’ideologia estremista.
Secondo un rapporto pubblicato dalla S Rajaratnam School of International Studies (RSIS), nel settembre 2022 il gruppo dello Stato islamico ha invitato i musulmani di Singapore – insieme a quelli di altri stati asiatici – a farsi avanti per unirsi al gruppo terroristico.
Le preoccupazioni dovrebbero riguardare tutti i governi asiatici, e non solo i più notoriamente a rischio a causa delle delicate situazioni sociali. Questa sorta di “cyber jihad“, condotta su un campo di battaglia virtuale senza confini, è infatti un potenziale campo minato anche per la sicurezza di società altamente connesse come Singapore.