La scorsa settimana Laurent Nuñez, a capo della Coordination Nationale du Renseignement et de la Lutte Contre le Terrorisme (Cnrlt), ha reso noto, durante un’intervista al quotidiano francese Le Figaro, che lo Stato Islamico continua ad essere un serio pericolo in quanto si starebbe ricostituendo clandestinamente con l’obiettivo di colpire anche in Europa.

Nonostante la sonora sconfitta subita, i jihadisti avrebbero ricostituito sia le proprie strutture operative che quelle dedite alla propaganda e risultano presenti sia in diverse aree del deserto siriano che in quelle nel nord-ovest dell’Iraq. Nuñez ha poi aggiunto che l’intelligence francese ha riscontrato prove, sia in Siria che nel Sahel, indicanti la volontà da parte dei jihadisti di perpetrare attacchi utilizzando armi chimiche e droni esplosivi, anche se per il momento la capacità di utilizzare ed esportare questa tipologia di armi sarebbe ancora remota. Secondo il Cnrlt sarebbero 160 i jihadisti francesi ancora presenti tra Siria e Iraq, inquadrati in Hayyat Tahrir al-Sham, Tanzim Hurras ad-Din e la controversa Katiba Diaby (composta da jihadisti francesi) e un loro possibile rientro in Francia preoccupa non poco le autorità di Parigi. In totale sono 1450 i cittadini francesi che dal 2012 si sono recati nei territori di guerra siriano-iracheni per unirsi ai jihadisti, la metà dei quali morti o dispersi, mentre circa 300 sono rientrati e finiti dietro le sbarre. Attualmente in Francia sono circa 500 i detenuti per terrorismo; i rilasciati lo scorso anno sono un centinaio ed altri 58 verranno liberati entro fine 2021.

Il coordinatore del Cnrlt non esclude che i jihadisti vogliano colpire anche in Europa e si è detto preoccupato della presenza di terroristi dell’Isis sia nel Maghreb che nei Balcani, ricordando che l’attentatore di Vienna, Kujtim Fejzullai, era in contatto con alcuni jihadisti dell’Isis fuggiti nei Balcani.

In ultimo, Nuñez ha anche affermato che i servizi di sicurezza francesi hanno sventato ben 33 attentati dal 2017. Una cifra di non poco conto, considerato che trattasi di una media di circa 8 attentati all’anno.

I jihadisti fanno breccia dove le istituzioni sono assenti

Il fatto che l’Isis si stia riorganizzando è da tempo noto in quanto sia fonti delle intelligence occidentali, sia quelle curde hanno più volte messo in evidenza il fenomeno. Lo scorso mese i Peshmerga curdi aveva lanciato l’allarme indicando una presenza di jihadisti pari a 7mila uomini nel solo Iraq, molti dei quali con le barbe tagliate e nascosti tra i civili, ma pronti a riprendere le armi appena il ritiro delle truppe statunitensi e britanniche sarà completato. Del resto la nuova amministrazione Biden non sembra avere alcuna intenzione di modificare i piani.

E’ vero che molti iracheni non vedono di buon occhio la presenza militare occidentale, vista come un’interferenza; allo stesso tempo però vi è non soltanto la paura di un rafforzamento e un rilancio del jihadismo in zone che hanno appena ripreso a vivere, ma nelle aree sunnite c’è anche timore per la presenza di milizie sciite filo-iraniane, essenziale spalla per le forze armate irachene nel momento in cui l’Isis dovesse intensificare i propri attacchi. Non è del resto un segreto che gruppi paramilitari pro-Teheran lavorino fianco a fianco con i militari iracheni. Se dunque le truppe Usa generano instabilità, gruppi paramilitari sciiti e jihadisti fanno altrettanto in un’area che sembra non riuscire a trovare pace.

Attenzione però, perchè il meccanismo è il medesimo in altre aree come il Sahel, l’Afghanistan, il nord della Nigeria e la Somalia. Nel momento in cui in un’area viene meno il controllo di un governo centrale, il jihadismo trova campo libero e si infiltra politicamente, si ristruttura, si riorganizza e riprende a colpire.

Parigi attende a iniziare un disimpegno dal Mali proprio nel timore che i jihadisti dell’Isis e di Al Qaeda possano riprendere forze e ricominciare con l’offensiva. Il presidente Macron è stato chiarissimo nel dire che non ci sarà alcun ritiro francese dal Sahel finchè altri Paesi europei daranno il consenso all’invio di propri militari a rimpiazzare quelli transalpini.

La guerra anti-jihadista francese si protrae da gennaio 2013, non è ben vista in Francia, a causa anche delle morti di militari (ben 55 da inizio operazioni) ed ha costi elevatissimi, quasi un miliardo di euro soltanto per l’anno 2020. Bisogna però tener presente che l’intervento in Mali non ha mai realmente avuto obiettivi politici, ma prettamente militari; a Parigi sono infatti ben consapevoli del fatto che non solo il governo centrale del Mali non sarà in grado di controllare il proprio territorio nonostante l’addestramento e i rifornimenti francesi, ma sanno altrettanto bene che la situazione politica, estremamente frammentata e turbolenta, difficilmente potrà trovare stabilità. Non a caso Macron ha parlato di un ricambio di presenza militare occidentale e non di una progressiva ripresa del controllo da parte delle autorità centrali maliane, perchè nella pratica non c’è mai stato.

Non importa che sia l’Iraq, il Mali, la Somalia o l’Afghanistan, oramai il copione è sempre lo stesso; nel momento in cui la presenza militare occidentale viene meno, si generano roccaforti jihadiste che si rafforzano, si espandono e successivamente diventa inevitabile un intervento militare. Del resto anche nell’ex area sovietica le dinamiche non sono molto diverse, con la Cecenia che ha trovato stabilità dopo quindici anni di guerra solo grazie a una struttura governativa sostenuta dal Cremlino.

A Parigi si teme che un espansione jihadista nel Sahel e nell’area tra Mali, Niger e Algeria possa facilitare l’arrivo di tagliagole in Europa tramite la Libia, ancora fuori controllo. In aggiunta, è recentemente emerso un problema di infiltrazione Qaedista nel Polisario denunciato dal Marocco che ha puntato il dito anche contro Algeri. Insomma, in questo momento la Francia non si può permettere alcun ritiro militare dall’area.

L’Isis può ancora colpire

Laurent Nuñez ha ragione quando afferma che l’Isis è ancora in grado di colpire in Europa e del resto, con il modus operandi “individuale spontaneo” è difficile che non sia così. Come già detto e ridetto più volte, oggi chiunque può attivarsi utilizzando strumenti del quotidiano come coltelli, cacciaviti, accette, oppure auto usate come ariete, per colpire in maniera autonoma e spontanea e poi rivendicare in nome dell’Isis. Un modus operandi imprevedibile e incoraggiato non solo dall’Isis ma anche da al Qaeda tramite i propri mezzi di propaganda. Ci sono poi ovviamente casi come quelli di Vienna, dove il terrorista di turno riesce a procurarsi armi da fuoco per perpetrare gli attacchi, ma le statistiche dimostrano come la “spontaneità” e la “quotidianità” continuino ad essere i tratti distintivi della strategia del terrore jihadista targata Isis in Europa, dove è chiaramente più difficile perpetrare attacchi come quelli messi in atto in Iraq o nel Sahel, dove le istituzioni sono appunto carenti se non assenti. Ciò non toglie che il rischio resta elevato, come dimostra anche l’attentato alla Cattedrale di Nizza dello scorso ottobre o il tentativo da parte di un uomo armato di entrare in una scuola ebraica di Marsiglia lo scorso 5 marzo.

Il coordinatore del Cnrlt ha anche reso noto che dal 2017 in Francia sono stati sventati 33 attacchi, un numero che non può non destare preoccupazione e che fa chiaramente intendere come la minaccia sia elevata. Fornire supporto ai Paesi dove le istituzioni sono deboli è essenziale per evitare che si creino roccaforti jihadiste in grado di mettere poi a repentaglio la sicurezza anche in Europa. Si riapre dunque l’eterno dilemma tra presenza militare occidentale in zone problematiche e disimpegno che rischia però di far crollare istituzioni fragili, con tutte le relative conseguenze.

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