Come Kuweires, come Deir Ez Zour e come tanti altri singoli episodi in cui una determinata località siriana è stata sottoposta all’assedio islamista, anche presso la base di Abu Duhur l’esercito fedele ad Assad ha dovuto subire per almeno due anni la scure di essere circondato da miliziani terroristi, i quali hanno cercato in tutti i modi di prendere il sito militare posto esattamente al confine tra le province di Aleppo ed Idlib. Ma a differenza dei due primi episodi sopra citati, ad Abu Duhur la resistenza delle truppe di Damasco non si è risolta con un lieto fine; la zona in questione infatti, ha iniziato ad essere dominata in lungo e largo dagli uomini di Al Nusra e del gruppo terroristico Jund Al Aqsa dal luglio del 2012, periodo in cui la città di Aleppo è stata in parte conquistata dalle sigle jihadiste ad eccezione di alcuni quartieri rimasti in mano governativa e da cui poi, dopo quattro anni, è iniziata la totale riconquista della seconda città siriana. Il fronte, in poche parole, era compromesso e così la base di Abu Duhur è stata conquistata dai miliziani.

9 settembre 2015: la caduta della base militare

Il primo vero attacco contro uno dei siti militari più importanti del nord della Siria è stato effettuato nel settembre 2012, pur tuttavia l’assedio alla struttura di Abu Duhur è realmente iniziato nel gennaio 2013; l’esercito siriano per diversi mesi è stato in grado di creare uno spesso perimetro di sicurezza attorno la base, in tal modo aerei ed elicotteri hanno potuto continuare ad operare anche se con un livello di sicurezza molto precario. Tuttavia, proprio grazie ai rifornimenti giunti per via aerea, i soldati presenti nella base sono riusciti a respingere i quotidiani attacchi posti in essere dalle sigle islamiste; la situazione è però cambiata nel gennaio 2015, quando l’abbattimento di un aereo con a bordo almeno trenta soldati siriani in fase di atterraggio ad Abu Duhur, ha fatto intuire il sempre più difficile e precario contesto in cui si stava svolgendo la difesa dall’assedio.

La capitolazione definitiva è arrivata il 9 settembre 2015: quella data è ancora oggi ricordata come una delle più tristi in Siria occorse durante la guerra; la fine dell’assedio a favore della conquisa ad opera dei miliziani jihadisti, ha rappresentato un duro colpo tanto per l’esercito quanto per l’opinione pubblica e questo sia da un punto di vista simbolico, quanto anche emotivo. Infatti, ben presto sulla rete sono apparsi i video postati dai terroristi, in cui sono state mostrate le esecuzioni di 56 soldati siriani, i quali sono stati uccisi a sangue freddo dopo essere stati catturati; almeno una ventina invece, sono gli uomini dell’esercito deceduti poco prima dell’assalto finale ad opera dei miliziani, una quarantina i dispersi. Forse non è un caso che, da lì a poche settimane, tra Damasco e Mosca si è poi concretizzato l’accordo che ha portato la Russia a sostenere sul campo l’esercito siriano.

La riconquista di Abu Duhur a distanza di più di due anni

La sconfitta presso la base militare ad est di Idlib, ha rappresentato in tutto questo lasso di tempo un autentico nervo scoperto; la struttura è stata in mano agli uomini del fronte Al Nusra, i quali hanno danneggiato diverse infrastrutture e le piste, che già peraltro hanno risentito e non poco della battaglia andata avanti durante i due anni di assedio. Le attenzioni dell’esercito, tuttavia, sono state poste su altri fronti ma, non appena nel dicembre 2016 la vicina Aleppo è stata riconquistata, all’interno dell’esercito fedele ad Assad si è subito guardato verso Abu Duhur; negli ultimi mesi gli sforzi principali sono stati condotti contro l’ISIS e quindi nella parte orientale del paese, mentre tra Idlib e le zone della provincia di Aleppo ancora in mano ai terroristi la guerra ha imperversato soprattutto per le lotte intestine alle sigle jihadiste.

Con il respingimento del califfato, cosa che ha comportato la fine dell’assedio di Deir Ez Zour e la riconquista del deserto centrale, sono sembrati maturi i tempi per rimettere le mani su Abu Duhur; la svolta è arrivata nei primi giorni del 2018: l’esercito ha sfondato le linee difensive jihadiste a nord di Hama ed a sud di Aleppo, recuperando terreno e liberando diversi territori in cui la bandiera siriana non sventolava praticamente dal 2012. Grazie alle avanzate delle Tiger Force da sud e della Guardia Repubblicana da nord, i terroristi presenti dentro la base di Abu Duhur sono stati di fatto ben presto chiusi in un’autentica morsa, fino a quando lo scorso 20 gennaio le truppe di Assad hanno rimesso piede lì dove più di due anni prima decine di soldati erano stati brutalmente uccisi. Le foto degli uomini in divisa all’interno del perimetro della base, accanto ai vecchi hangar dell’aeroporto militare, hanno fatto il giro della Siria in poche ore.

Successo simbolico ma anche strategico 

Di certo, riprendere un sito militare la cui sconfitta ha rappresentato l’emblema del peggior momento vissuto dall’esercito siriano durante questo conflitto, ha ridato ulteriore slancio alle truppe ma anche all’intero paese; Abu Duhur non è più un tabù di cui non dover parlare, ma adesso è tra i principali successi delle truppe fedeli ad Assad, che fino a pochi mesi fa erano lontane dalla base almeno 70 km. Ma la vittoria in questa base militare non ha finalità solo simboliche: si tratta infatti di un sito che, una volta rimesso in sesto, potrà servire per agevolare i governativi nelle battaglie che seguiranno per la ripresa di Idlib; rimettere in sicurezza la base e renderla nuovamente operativa, significherà far risparmiare diversi chilometri di volo agli aerei ed agli elicotteri che attualmente decollano da Latakia, con un conseguente notevole vantaggio per le forze governative nei confronti degli ex del Fronte Al Nusra, che ancora controllano la stessa Idlib e gran parte della sua provincia.

Inoltre, la conquista di Abu Duhur ha anche permesso l’isolamento all’interno di una sacca degli ultimi miliziani dell’ISIS rimasti nella provincia di Hama, i quali nelle prossime settimane potrebbero essere allontanati permettendo la definitiva liberazione dal califfato della Siria centrale; tutto questo, per la Siria, non si tradurrebbe solo in un vantaggio militare per l’esercito, ma anche in una boccata d’ossigeno per il commercio e l’economia, visto che garantirebbe la definitiva messa in sicurezza dell’attuale unica arteria che mette in collegamento Damasco con Aleppo.