“Vogliamo raccontare i drammi senza fine del Congo, una terra tormentata da gruppi armati anche di matrice islamista, depauperata dallo sfruttamento delle risorse minerarie, travolta da epidemie e da sfide che riguardano tutti noi. Vogliamo farlo attraverso lo sguardo di chi da anni si occupa di questo Paese: il fotografo Marco Gualazzini e il giornalista Daniele Bellocchio.
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Nel territorio più orientale della Repubblica Democratica del Congo, le milizie si muovono a decine e come schegge impazzite. Compiono rapimenti, mietono vittime, combattono tra loro e contro l’esercito, gestiscono traffici di minerali e lottano non solo per se stesse, ma anche per i Paesi limitrofi. O forse anche molto più lontani.

La morte dell’ambasciatore italiano Luca Attanasio, ucciso mentre percorreva la strada che collega Rutshuru-Goma, ha riportato tragicamente all’attenzione di molti la terribile situazione della Repubblica democratica del Congo. Un Paese in cui la parte orientale è costellata da fazioni ribelli che non sono semplici predoni o bande armate improvvisate. Tante, spiegano gli analisti, sono composte da uomini che sono militari di professione, convertiti in ribelli semplicemente per sopravvivenza o per ambire a guadagni più elevati legati al traffico di materie prime.

Un caos infernale in cui si muovono i Paesi che confinano con quell’area (in particolare Burundi, Ruanda e Uganda) e che si trovano così a poter sfruttare i gruppi ribelli per provare a espandere l’influenza su un territorio ricchissimo, che proprio per questo è condannato a subire il terrore e il sangue.

Angelo Ferrari, analista e africanista per Agi, spiega in un suo articolo che “nell’area si confrontano oltre venti gruppi etnici con propri miliziani”. La formazione più nota e radicata sul territorio è quella Mayi Mayi, che raccoglie al suo interno diverse anime. Sorte come resistenza alle forze ruandesi che penetravano nelle regioni oltre il confine, le milizie hanno assunto diverse identità e obiettivi e i suoi leader sono spesso stati accusati di crimini di guerra. Il nome, spiegano gli autori del “Historical Dictionary of the Democratic Republic of the Congo” deriva da una parola Swahili che significa “acqua”. I suoi miliziani credevano infatti che attraverso alcune pratiche magiche legate all’acqua potessero salvarsi dai proiettili dei nemici. E così quel termine collegato a questi rituali propiziatori è diventato il simbolo di questa galassia di signori della guerra e miliziani che si muove nei territori orientali del Congo. Un gruppo con decine di morti sulla coscienza e con accuse che riguardano alcuni tra i più efferati delitti avvenuti nel Paese.

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CAUSALE: Reportage Congo
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Non sono le uniche milizie a combattere nel Paese. Una delle più importanti – quella che Bienvenue Pombo, membro della commissione d’inchiesta per la morte di Attanasio, aveva definito a Repubblica come la milizia responsabile dell’assalto – è quella che va sotto il nome di Forze democratiche per la liberazione del Ruanda (Fdlr). Per la missione Monusco, l’operazione delle Nazioni Unite per la stabilizzazione della Repubblica democratica del Congo, questa forza rappresenta “il più grande gruppo armato straniero illegale” del Paese africano. Per l’Onu, non è chiaro se le Fdlr siano lì per premere sul governo del Ruanda o per rovesciare il potere prendendo il sopravvento sulla madrepatria. Quello che è certo è che migliaia di loro uomini operano nel territorio del Kivu, nei pressi del vulcano Nyiragongo, e proprio nel settore in cui Attanasio è stato tragicamente ucciso.

Un altro nome che terrorizza le aree orientali e settentrionale della Repubblica democratica del Congo è quello guidato da Joseph Kony, il  Lord’s Resistence Army (Lra), l’Esercito di resistenza del Signore. È una delle armate più inquietanti del panorama delle milizie locali. Unite da un fanatismo religioso cristiano, misticismo animista e da spirito nazionalista, gli uomini di Kony sono accusati di crimini orrendi. La Corte Penale Internazionale li ritiene colpevoli di schiavitù, rapimenti, arruolamenti di bambini e di innumerevoli omicidi. Per gli Stati Uniti sono un’organizzazione terroristica. Un’orda di centinaia di persone che ha terrorizzato tutta quella regione dell’Africa e che si è spostata dall’Uganda fino al Sud Sudan e ora in Congo. La sua forza si è ridotta nel tempo, ma questo non ha escluso attacchi e le conseguenza nefaste della sua guerra.

Un altro gruppo che ha le sue radici in Uganda è quelle delle Allied democratic Forces (Adf), le Forze democratiche alleate. Le milizie Adf, nate nell’area del Rwenzori e guidate, come spiega sempre Ferrari su Agi, dall’ex cristiano convertito all’Islam, Jamil Mukulu, sono salafiti che vogliono imporre la più dura delle leggi islamiche in Uganda e in tutti i territori che controllano. A novembre del 2021, l’ultimo assalto è stato nel Nord Kivu, con la morte di alcuni civili e la reazione dell’esercito nazionale che ha ucciso i terroristi. Da qualche anno, spiegano gli osservatori di Africanews, alcuni attacchi da parte delle Adf sono stati rivendicati dallo Stato islamico, qui identificato come “Provincia dell’Africa centrale” (Iscap in inglese). Anche per gli analisti del Centre for Strategic and International Studies, dall’arresto di Mukulu nel 2015, “l’Adf ha rilasciato quantità crescenti di propaganda che riflette l’allineamento ideologico con lo Stato Islamico. Ciò include una maggiore attenzione agli sforzi per uccidere i civili non musulmani”. Un segnale di come l’islamismo sia esteso ormai anche in quest’area dell’Africa.

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