Negli ultimi anni, la differenza tra il destino dei talebani afghani e dello Stato islamico di Iraq e Siria (Isis) – conosciuto anche come Daesh – è sorprendente. Mentre Daesh ha continuato a perdere territori e influenza nelle sue roccaforti in Medio Oriente, in Afghanistan i talebani hanno guadagnato terreno, sia militarmente che politicamente. Il mondo ha condannato l’Isis e molti Paesi lo hanno combattuto attivamente. La leadership talebana invece è stata contattata e corteggiata per convincere il Califfato a partecipare al processo di pace in Afghanistan.

Fin dall’inizio, Daesh è stato identificata come un’organizzazione terroristica e l’obiettivo è stato eliminarlo con ogni mezzo possibile. I talebani non sono stati etichettati come organizzazione terroristica poiché gli Stati Uniti, e molte altre parti con interessi nel conflitto afghano, erano convinti che con loro fosse possibile negoziare la pace. Sebbene sia l’Isis – ispirato dal salafismo – sia i talebani – sunniti hanafi che aderiscono alla scuola di pensiero Deobandi – siano principalmente gruppi armati che usano la forza per raggiungere i loro obiettivi, la loro composizione e i loro metodi sono diversi: mentre Daesh ha un carattere internazionale come Al Qaeda ed è incredibilmente brutale nelle sue azioni, i talebani continuano a insistere sul fatto che le loro ambizioni sono limitate all’Afghanistan, in quanto non hanno mai avuto un agenda globale. Gli attacchi dei talebani hanno senza dubbio causato vittime civili e hanno provocato immensi dolori a decine di famiglie, ma l’organizzazione non è all’altezza di Daesh in termini di brutalità scatenata contro persone innocenti.

Daesh, dopo aver conquistato circa un terzo dei territori di Iraq e Siria, è stato abbastanza resistente da sopportare numerose operazioni militari distribuite su quattro anni ed esiste la preoccupazione che possa rinascere altrove

Anche se molti stanno frettolosamente scrivendo il necrologio del Califfato guidato da Daesh – in seguito della sconfitta subita il 23 marzo 2019 in Siria con la perdita del villaggio di Baghouz vicino al confine iracheno – sarebbe prematuro sostenere che il Califfato sia stato spazzato via. Daesh, dopo aver conquistato circa un terzo dei territori di Iraq e Siria, è stato abbastanza resistente da sopportare numerose operazioni militari distribuite su quattro anni ed esiste la preoccupazione che possa rinascere altrove. Può darsi che Daesh non esista più come esercito permanente, ma la minaccia rappresentata dal Califfato, direttamente o attraverso i suoi affiliati, permane in tutto il mondo.

Alcune delle questioni che hanno favorito la rapida ascesa di Daesh nel 2014 non sono state affrontate. Lo scontento dei sunniti, fazione al potere durante il regime di Saddam Hussein, nell’Iraq ora dominato dagli sciiti potrebbe fomentare pericolose simpatie verso gruppi militanti come l’Isis. La rabbia sunnita in Siria contro l’autoritario governo del presidente Bashar al Assad potrebbe portare a una reazione simile. L’invasione guidata dagli Stati Uniti e l’occupazione dell’Iraq nel 2003 hanno creato condizioni favorevoli per l’ascesa di Al Qaeda, che in seguito si è trasformata nell’ultra militante Stato islamico. Attacchi terroristici come l’uccisione di 50 fedeli musulmani da parte di un suprematista bianco australiano in due moschee a Christchurch, in Nuova Zelanda, potrebbero infiammare gli animi e fungere da catalizzatore per una reazione violenta.

Si parla già dell’esistenza di un terreno fertile per “Isis 2.0”, anche se l’organizzazione ha subito una sconfitta irreversibile. Un recente messaggio audio di Daesh ha annunciato che la lotta non è finita e che le circostanze non sono più favorevoli per una sua rinascita in quanto il Califfato non controlla territori dove possa nuovamente aggregarsi, né risorse finanziarie per sostenere le proprie operazioni.

Francesco Cito, Afghanistan, 1980

In passato, il Califfato ha trovato un appiglio nelle Filippine, Paese a maggioranza cristiana, sfruttando i sentimenti della minoranza musulmana delle isole Mindanao e attirando reclute da gruppi terroristici armati come Abu Sayyaf. Il califfato ha anche trovato seguaci nello Yemen, nel Sinai egiziano, in Somalia, in Nigeria e altrove in Asia e in Africa, continuando a guadagnare terreno a spese di Al Qaeda. In Pakistan, Daesh ha rivendicato la responsabilità di una serie di attacchi terroristici condotti attraverso suoi affiliati come Lashkar-e-Jhangvi (LeJ), nonostante il governo pakistano abbia negato l’esistenza di una cellula organizzata del gruppo terroristico nel Paese. L’arresto di giovani universitari provenienti da famiglie benestanti che si ispiravano al progetto del califfato dell’Isis ha spinto il governo pakistano ad adottare misure per contrastare l’organizzazione. Molto più preoccupante, tuttavia, è la costante presenza di Daesh nel confinante Afghanistan.

Per oltre quarant’anni, l’Afghanistan è stato un campo di battaglia per due superpotenze: l’Unione sovietica e gli Stati Uniti. Bisogna poi aggiungere gli alleati di Stati Uniti e Urss, alcuni Paesi della regione, i mujaheddin afghani e talebani e diverse organizzazioni terroristiche internazionali. La battaglia tra Stato islamico-provincia di Khorasan e talebani per il controllo del territorio è l’ultima manifestazione della complessità del conflitto afghano. L’Isis deve lottare contro i potenti talebani, che considerano lo Stato islamico come una minaccia sostenuta da sponsor nazionali ed esteri. Dal momento che Daesh non è riuscito ad attirare molti nuovi seguaci in Afghanistan, ha fatto leva sulle divisioni tra i combattenti talebani afghani e pakistani per aumentare le sue forze. Nel 2014, il Califfato è stato in grado di reclutare alcuni membri provenienti dalle schiere dei talebani afghani, tra cui l’ex prigioniero di Guantanamo, Mulla Abdul Rauf Khadim, che è stato nominato vicecapo dello Stato islamico-Provincia di Khorasan prima di rimanere ucciso nel febbraio 2015 durante un attacco americano nella provincia di Helmand. Il primo emiro locale (capo) di Daesh, il defunto Hafiz Saeed Khan Orakzai, era un ex membro dei talebani pakistani e così anche il successivo leader che venne ucciso: Abu Saeed, conosciuto come Mulla Abdul Rahman Ghaleb. Altri emiri erano afghani e ora sono tutti morti: i leader di Daesh hanno avuto una vita molto breve.

Sebbene Daesh e i suoi affiliati locali nella regione dell’Af-Pak abbiano subito diverse battute d’arresto causate dal governo afghano e pakistano, e anche dagli attacchi dei droni statunitensi, le maggiori perdite sono state inflitte dai talebani afghani. I combattenti talebani hanno sradicato Daesh dalle sue basi nella provincia di Jauzjan nel nord dell’Afghanistan nell’agosto 2018 e hanno costretto i sopravvissuti a cercare rifugio presso le forze di sicurezza afghane. Prima, nel novembre 2015, nella provincia di Zabul i talebani avevano sconfitto il Movimento Islamico dell’Uzbekistan, affiliato a Daesh, e i suoi alleati composti da dissidenti talebani. Anche nella roccaforte dell’Isis, nella provincia di Nangarhar, probabilmente i talebani hanno inflitto maggiori danni allo Stato Islamico rispetto a quanto abbiano fatto le forze armate afghane e statunitensi.

Infografica a cura di Alberto Bellotto

Durante i colloqui di pace tra talebani e Stati Uniti in corso in Qatar, le due parti hanno trovato un’intesa di massima sulla bozza di un accordo in base al quale i talebani si impegnano a impedire che l’Afghanistan diventi una “piattaforma per gruppi o individui terroristici internazionali” in cambio del ritiro dal Paese delle truppe americane. Zalmay Khalilzad, rappresentante speciale degli Stati Uniti per la riconciliazione in Afghanistan, ha cercato di convincere i talebani a iniziare colloqui diretti con il governo afghano e a proclamare un cessate il fuoco generale. I talebani potrebbero non accettare queste proposte fino a quando il ritiro delle forze straniere non avrà inizio. Inoltre, la buona riuscita dell’accordo potrebbe essere collegata all’accettazione delle richieste fatte dai talebani per il rilascio di prigionieri, alla revoca delle sanzioni del Consiglio di Sicurezza dell’Onu e all’apertura di una sede diplomatica talebana in Qatar.

Un accordo di pace con i talebani potrebbe impedire attacchi contro gli Stati Uniti, che cercano disperatamente di evitare la ripetizione degli attentati dell’11 settembre, programmati da Al Qaeda nell’Afghanistan governato dai talebani. È un dato di fatto che i talebani abbiano ospitato militanti stranieri di Al Qaeda e altri gruppi terroristici mentre erano al potere dal 1996 al 2001, ma la leadership talebana è diventata pragmatica ed è ora disposta a impedire che terroristi utilizzino il territorio afghano per portare avanti attacchi contro gli Stati Uniti, i suoi alleati e altri Paesi. I combattenti talebani vigilano sulle attività di Daesh non solo per salvaguardare la loro supremazia, ma anche per dimostrare il loro ruolo fondamentale nel mantenere stabile l’Afghanistan e impedire che si trasformi nuovamente in un rifugio sicuro per terroristi. Nel caso in cui un accordo di pace venga raggiunto, l’Occidente, così come la Cina, la Russia e l’Iran, potrebbe cercare la cooperazione dei talebani nonostante il loro vergognoso passato in materia di diritti umani, in particolare riguardo ai diritti delle donne, per contrastare l’Isis e altre organizzazioni terroristiche ed eliminare la coltivazione del papavero da oppio e il traffico di droga.

Fotografia di apertura di Francesco Cito, Afghanistan, 1989

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