Le strette relazioni tra gli ex combattenti dello Stato islamico e la Turchia sono state svelate da un report redatto dal Rojava Information Center, nel quale si rivelano i nomi di 40 jihadisti dell’Isis riciclati nelle milizie dell’Esercito Siriano Libero (Free Syrian Army), un gruppo militare di opposizione al regime di Bashar al Assad, supportato dalla Turchia di Recep Tayyip Erdogan, e sospettato di simpatie islamiste.
Nell’elenco pubblicato dai curdi si può trovare la biografia, la posizione attuale e il ruolo esatto dei 40 jihadisti all’interno dell’organizzazione del Califfato: comandanti, leader di brigate e reclutatori che ora, secondo Joan Garcia del Rojava Information Center, opererebbero nel cantone di Afrin in contatto con i servizi di intelligence turchi (Mit) alle dirette disposizioni di Ankara.
“Molti di questi jihadisti si sono rifugiati in Turchia in seguito alle sconfitte territoriali dell’Isis, dove hanno potuto trovare riparo prima di tornare in Siria, con il tacito accordo dello Stato turco, per combattere all’interno delle milizie jihadiste supportate da Ankara”, continua Garcia.
Chi sono questi jihadisti?
Tra di loro ci sarebbero anche Isma’il Firas al-‘Abbar, comandante dell’Isis a Deir Ezzor e ora leader di brigata ad Afrin; Basil Nayef al-Shehab, miliziano che ha combattuto a Kobane contro le milizie curde dello Ypg e che ora sarebbe il comandante della brigata Sultan Murad, che ha partecipato all’offensiva “Ramoscello d’Ulivo”; Abu al-Baraa al-Ansari, ex comandante a Deir Ezzor e ora a capo della brigata Ahrar al-Sharqiya, sempre operante nel cantone curdo. Tutte queste brigate fanno parte dell’Esercito siriano libero, accusato dalle Nazioni Unite e da Amnesty International di aver compiuto crimini di guerra durante l’offensiva contro i curdi e di aver perpetrato indiscriminatamente torture, stupri ed esecuzione di civili.
L’offensiva “Ramoscello d’Ulivo” lanciata da Erdogan nel gennaio 2018, aveva l’obiettivo di mettere in sicurezza il confine meridionale della Turchia dalle milizie curde dello Ypg, che Ankara considera essere un gruppo terrorista in quanto estensione del Partito dei lavoratori curdo, più conosciuto come Pkk. Tale operazione militare condotta da Ankara ha causato circa 300mila rifugiati curdi dal cantone di Afrin e oltre 500 morti.
Il ruolo ambiguo della Turchia nella guerra siriana
I nomi dei 40 jihadisti, ora al soldo delle milizie islamiste filo turche, conferma il ruolo ambiguo che la Turchia ha tenuto durante il corso della guerra siriana. Nel 2015, il presidente turco aprì la cosiddetta “autostrada del jihad“, delle vie di transito per le migliaia di foreign fighter che avessero voluto raggiungere l’Iraq e la Siria per arruolarsi con il Califfato. La Turchia si è resa anche tristemente nota per aver bloccato qualsiasi aiuto ai curdi siriani durante l’assedio di Kobane, arrivando addirittura al supporto di milizie appartenenti alla galassia jihadista con il tentativo di continuare a destabilizzare la Siria per provocare la caduta di Bashar al Assad. Tali posizioni provocarono diverse proteste di organizzazioni umanitarie e politiche sull’opportunità dell’appartenenza della Turchia all’interno dell’Alleanza atlantica (Nato).
Che futuro per i curdi siriani?
Proprio in questi giorni, il raìs Erdogan ha annunciato la possibilità di una nuova offensiva turca ad est del fiume Eufrate fino ad arrivare al confine iracheno per creare una zona di sicurezza e allontanare le milizie curde dal confine turco. Gli Stati Uniti, alleati dei curdi nella lotta contro l’Isis, hanno cercato di mediare con Ankara per evitare che un membro della Nato possa entrare nuovamente in conflitto con i loro più vicini alleati nell’area.
Alle porte rimane il governo di Damasco che si è già detto contrario a qualsiasi accordo tra Stati Uniti e Turchia che abbia ad oggetto una parte del territorio siriano. Già durante l’operazione “Ramoscello d’Ulivo”, Assad mandò alcuni soldati dell’esercito regolare siriano a difesa dei curdi per bloccare un’occupazione territoriale turca del territorio siriano, in segno anche di distensione tra le autorità di Damasco e quelle dei curdi siriani.
Negoziati tra curdi e Damasco sono stati avviati già da mesi senza grandi risultati. Gli Stati Uniti, nonostante le dichiarazioni di Donald Trump di un ritiro immediato delle truppe a stelle e strisce, non sembrano voler lasciare la Siria nord orientale senza essere sostituiti da qualche altro contingente militare a loro vicino. Questa situazione di stallo relega i curdi siriani in una posizione difficile e tra diversi fuochi.