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La prigione di media sicurezza di Kuje, situata nei pressi della capitale nigeriana Abuja, è stata oggetto di un violento attacco da parte dei militanti dello Stato Islamico dell’Africa Occidentale (ISWAP). L’assalto, come ricordato da testimoni oculari intervistati dalla Bbc, ha provocato la distruzione di buona parte delle infrastrutture della prigione, la morte di quattro prigionieri ed ha favorito la fuga di quasi mille detenuti, tra cui c’erano almeno 64 jihadisti.

Il Presidente nigeriano Muhammadu Buhari ha dichiarato che la responsabilità di quanto accaduto è delle carenze manifestate dall’intelligence. Si tratta, peraltro, di problemi cronici se si pensa che più di 5mila detenuti sono fuggiti durante evasioni di massa, in Nigeria, a partire dal 2020 e che lo stesso Buhari è sulla graticola per non essere riuscito a frenare le violenze che dilagano in tutto il Paese. L’ISWAP, che beneficia di un’alleanza locale con il gruppo radicale Boko Haram (da cui si era scisso nel 2016) ha rivendicato la responsabilità dell’attacco riferendo di aver contribuito alla liberazione di “decine di prigionieri”. I guerriglieri dell’ISWAP, alcuni giorni prima dell’attacco di Kuje, avevano ucciso circa 50 tra soldati e poliziotti dopo un agguato nello Stato del Niger. Il 5 giugno avevano attaccato la Chiesa Cattolica di San Francesco ad Owo, nella Nigeria Sud-Occidentale, assassinando 40 persone, tra cui donne e bambini.

Le vicende (e le motivazioni) dello Stato Islamico in Africa occidentale

La Nigeria (ed in particolare modo la sua regione nord-orientale) è alle prese con un’insurrezione islamista dal 2009, portata avanti in un primo momento dal gruppo Boko Haram ed in seguito dallo Stato Islamico in Africa occidentale. Boko Haram, che per sette anni si era opposto pacificamente al governo centrale, iniziò a impiegare la violenza dopo l’uccisione del leader Mohammed Yusuf avvenuta proprio nel 2009. A Yusuf subentrò Abubakar Shekau e da allora vennero attaccati obiettivi come individui, istituzioni statali e religiose, polizia, esercito, scuole sia nel nord-est della Nigeria che in nazioni limitrofe come il Camerun ed il Ciad.

Non sono mancati attacchi incendiari contro le case, attentati suicidi, rapimenti ed uccisioni di operatori umanitari, predicatori, viaggiatori ed anche scolari, come le 276 studentesse liceali di Chibok sequestrate nel 2014 e le 110 rapite nel 2018 nello Stato di Yobe. Le principali cause dell’insurrezione sono legate a povertà, disuguaglianza, disoccupazione e mancanza di istruzione che affligge la Nigeria nord-orientale. Ci sono anche motivazioni di natura politica come la cattiva amministrazione del territorio e la corruzione che compromettono lo sviluppo e favoriscono i conflitti.

Un Paese preda della violenza

La Nigeria è alle prese con una drammatica intensificazione della violenza, che include rapimenti ed attacchi con motivazioni religiose. Si tratta di un fenomeno, secondo il Council on Foreign Relations, legato a diversi fattori. Tra questi ci sono l’avvicinarsi delle elezioni generali del 2023 e l’aggressività mostrata dai candidati che risolvono i problemi senza ricorrere al sistema giudiziario. C’è l’indebolimento (e talvolta la complicità) delle forze dell’ordine che ha favorito la crescita dei rapimenti con riscatto, con 1484 episodi solamente tra il gennaio ed il marzo 2022. Ci sono le tensioni etnoreligiose, rafforzate dagli attacchi dei pastori agli insediamenti agricoli. Questi episodi avvengono con sempre maggiore frequenza a causa della desertificazione, che riguarda il 60% della superficie della Nigeria e della siccità. Preoccupa l’ aumento della violenza non legata a motivazioni specifiche e favorita dal proliferare del mercato nero delle armi e dalla disintegrazione di gruppi e movimenti sociali.

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