Lo Stato islamico è stato sconfitto a livello territoriale in Siria e in Iraq e sono in corso numerose operazioni congiunte per neutralizzare gli ultimi militanti nascosti nelle aree desertiche al confine tra i due Paesi. Tuttavia, la minaccia jihadista continua a spaventare l’Occidente attraverso l’azione dei cosiddetti “lupi solitari”. L’ultimo attacco terroristico di questo genere è avvenuto l’11 dicembre 2018 a Strasburgo, quando un uomo si è fatto largo in un mercatino natalizio, sparando contro la folla e uccidendo cinque persone, tra le quali un giornalista italiano.
La guerra contro questo tipo di terrorismo non può quindi essere vinta limitandosi a sconfiggere le singole organizzazioni jihadiste, come Isis e Al Qaeda, che rappresentano solo alcune delle possibili incarnazioni della vera minaccia: l’ideologia del salafismo jihadista.
Si tratta di una convinzione espressa recentemente anche dagli Stati Uniti. Il 19 dicembre 2018, in occasione dell’annuncio dell’imminente ritiro delle truppe americane dal territorio siriano, diffuso dal presidente Donald Trump, il portavoce del Pentagono, Dana White, ha dichiarato: “La Coalizione ha liberato il territorio che si trovava sotto il controllo dell’Isis, ma la campagna contro lo Stato islamico non è finita”. Gli Stati Uniti – stando alle affermazioni di White – avrebbero peraltro già previsto una seconda fase della lotta contro l’organizzazione terroristica, in merito alla quale “per motivi di sicurezza non vengono forniti ulteriori dettagli”.
Il salafismo jihadista
Il salafismo jihadista è un’ideologia che si ricollega al più ampio movimento culturale e intellettuale del salafismo, che predica il ritorno alla spiritualità delle origini. Soltanto nel XX secolo assume le caratteristiche radicali e politicizzate che lo contraddistinguono oggi, seguendo una tendenza presente nel mondo islamico ad interpretare la dottrina in maniera letterale, fino ad arrivare al ricorso alle sue pratiche più ancestrali, come il taglio della gola o le pene corporali. Pilastro fondante dell’ideologia salafita estremista è l’epurazione dall’islam di ogni influsso occidentale, attraverso un ritorno alle fonti originali, Sunna e Corano, lette senza mediazioni interpretative.
Questa lettura radicale tiene uniti gruppi, organizzazioni e individui, fornendo loro una dottrina che unifica gli sforzi di tutti i movimenti jihadisti a livello globale e trasversale, senza, tuttavia, che vi sia la necessità di un coordinamento. Proprio l’universalità del messaggio del salafismo jihadista consente ai singoli movimenti di auto-organizzarsi, assumendo anche tratti peculiari.
La conseguenza è che ogni vittoria contro un singolo gruppo jihadista non comporta la sconfitta del radicalismo islamico, nonostante ne rappresenti un aspetto fondamentale.
Oltre lo Stato islamico
Lo Stato islamico continua a minacciare l’Occidente, attraverso gli attacchi dei lupi solitari e la minaccia costituita dal ritorno dei foreign fighters nei loro Paesi di origine. Tuttavia, l’Isis non è il solo movimento estremista presente sulla scena internazionale.
Mentre la lotta al terrorismo si concentrava contro lo Stato islamico all’interno dei territori occupati dal califfato, altri gruppi jihadisti, in particolare Al Qaeda e le fazioni che condividono la sua ideologia, come Ahrar Al-Sham e Jaysh Al-Islam, si sono rafforzate nei territori nord-occidentali della Siria, in particolare nel governatorato di Idlib.
In Iraq, l’intelligence americana ha più volte richiamato l’attenzione sul pericolo legato alle continue ribellioni sunnite, che potrebbero facilitare la nascita di un altro movimento estremista nel Paese. Nei governatorati iracheni di Kirkuk e Diyala, in particolare, si stanno diffondendo le White Flags (Bandiere bianche), il cui nome richiama (all’opposto) il simbolo dello Stato islamico, una bandiera nera. Anche se non è ancora chiara la natura di questo movimento, le autorità irachene lo hanno definito un’organizzazione terroristica, forse legata al gruppo salafita jihadista di Ansar Al-Islam.
Verso la sconfitta del terrorismo islamico
Secondo quanto affermato dalla ricercatrice Katherine Zimmerman, la strategia che dovrebbe adottare l’Occidente per sconfiggere in maniera definitiva il terrorismo islamico si basa su due pilastri, il primo dei quali è la sconfitta militare dei singoli gruppi estremisti. Il secondo consiste nella lotta contro l’ideologia nella quale si incarnano i movimenti jihadisti: da un lato, contrastando la dottrina promossa dai movimenti jihadisti; dall’altro, creando le condizioni affinché le persone non si trovino costrette ad adottare le idee estremiste.
Un aspetto peculiare della diffusione delle ideologie estremiste è, infatti, la loro capacità di attrarre le masse in cambio di sicurezza e di aiuti sia pratici sia spirituali, spesso colmando i vuoti lasciati dai governi. Stando alla proposta di Zimmerman, dunque, fondamentale sarebbe insinuarsi all’interno dei contrasti tra gruppi estremisti, spesso in competizione tra loro, al fine di ottenere il supporto delle comunità sunnite.
Questa strategia offrirebbe alla popolazione un’alternativa, l’assistenza e i mezzi per difendersi dalle minacce esterne, diminuendo la probabilità di un ricorso a gruppi estremisti per ottenere aiuto.