Tutti ricordiamo il nome di Salah Abdeslam, l’unico sopravvissuto fra i terroristi che hanno dato vita all’attacco di Parigi contro il Bataclan. Un attentato orrendo, preparato con cura, che ha visto morire 130 vittime innocenti, tra cui la ricercatrice italiana Valeria Solesin, e che ha provocato un numero impressionante di feriti, circa 450.

Furono sette i terroristi del commando a morire dopo aver scatenato la furia assassina verso i clienti del locale: tutti tranne Salah Abdeslam. E la sua mancata morte ha sempre suscitato una serie di domande, la prima delle quali sul perché non si sia fatto saltare in aria come tutti, come era nel progetto iniziale dell’attentato. Perché aveva deciso di sopravvivere e finire in un carcere il resto dei suoi giorni quando, imbevuto di un’ideologia folle, avrebbe potuto compiere il macabro rituale del farsi saltare in aria e puntare a quel “paradiso” dei martiri agognato dai terroristi? La risposta sembra essere arrivata in queste ore.

Una lettera-testamento attribuita a Salah Abdeslam e ricostruita dall’intelligence del Belgio attraverso l’analisi dei documenti rivenuti fra i file di un computer trovato in un cassonetto nei pressi del numero 4 di rue Max Roos a Scharbeek, dimostrerebbe che il terrorista non ha rinunciato volontariamente a suicidarsi in quell’orribile notte parigina di novembre del 2015, ma si salvò per un difetto della cintura esplosiva. Secondo fonti dell’emittente radiofonica France Inter, i difetti erano almeno due: un cavo elettrico rovinato davanti al giubbotto e un pezzo del detonatore sul retro che si era rotto.  “Pur avendo voluto essere tra i martiri, Allah ha deciso diversamente”, si legge nella lettera. Una lettera che però, da quello che si evince, contrasta in maniera abbastanza evidente con quanto sostenuto dal terrorista davanti agli inquirenti, che lo interrogarono dopo averlo catturato a seguito di una caccia durata quattro mesi fra Belgio e Francia.

Abdeslam, interrogato dalla polizia, disse che “voleva farsi esplodere allo Stade de France” la sera del 13 novembre. “Dovevo entrare nello Stade de France come uno spettatore, ma non avevo il biglietto. Ho rinunciato al momento di parcheggiare il veicolo. Ho accompagnato i miei tre passeggeri poi sono ripartito. E ho girato a vuoto”. I suoi compagni di automobile si fecero saltare in aria, invece lui no, riprese l’automobile e ripartì, “girando a vuoto”. Poi abbandonò l’auto, chiamò due complici dal Belgio che lo raggiunsero e lo portarono a Bruxelles, facendo partire una caccia all’uomo che mise in imbarazzo sia l’intelligence francese che quella belga. Nella lettera il terrorista afferma poi che, a un certo punto della notte, aveva anche pensato di partire per la Siria e di non averlo fatto perché preferiva finire il lavoro con i “fratelli” . “All’inizio pensavo di andare in Siria, ma pensavo di aver concluso [ …] che la cosa migliore era finire il lavoro qui con i fratelli”. Secondo gli investigatori i “fratelli” di cui parla Salah sono certamente i responsabili degli attentati di Maelbeek e Zaventem, che fecero 32 morti e 340 feriti e poco prima dei quali Abdeslam sono stato arrestato. A quel tempo, le autorità investigative dissero di essere assolutamente convinte del fatto che Abdeslam, al momento della cattura, fosse pronto a passare all’azione in Belgio.

I dubbi su quella notte e sul ruolo di Salah Abdelsam continuano a resistere nonostante le indagini dell’antiterrorismo francese e dell’intelligence belga. Non si comprende il ruolo che aveva questo terrorista nel commando. Non si comprende perché abbia deciso di non morire per poi dire di non avere avuto la possibilità di farlo a causa di un difetto del giubbotto esplosivo. Ma non si comprende neanche perché dica di aver girato a vuoto con la macchina e di aver chiamato i complici da Bruxelles quando alle 23 era all’interno della metropolitana nel diciottesimo arrondissement. Un mistero che s’infittisce soprattutto perché l’Isis aveva anche rivendicato, quella notte, un fantomatico attentato proprio in quel quartiere parigino senza che in realtà fosse mai avvenuto. Insomma, questa lettera più che aiutare a risolvere il mistero, aiuta a complicarlo. A questo, si aggiunge poi un dubbio legato alle indagini: com’è possibile che solo dopo un anno e mezzo gli inquirenti abbiano individuato questo file all’interno del pc? Computer tra l’altro non distrutto ma semplicemente gettato in un bidone della spazzatura. I dubbi restano e si attende adesso il primo incontro di Abdeslam con i giudici il 5 febbraio prossimo. Una data importante per comprendere almeno una parte di verità.

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