Nella regione dello Xinjiang, la minoranza turcofona e indipendentista degli uiguri rappresenta da anni un problema per la sicurezza nazionale di Pechino. Qui, in una delle regioni più vaste della nazione cinese, il governo ha deciso di reprimere in modo ancora più pesante i tentativi di emersione del fondamentalismo islamico. Per fare ciò, ha messo in atto una serie di riforme legislative che vietano in sostanza ogni manifestazione pubblica e privata di appartenenza all’Islam che possa rappresentare una minaccia per il Paese.La legge, varata pochi giorni fa dal governo della regione, rappresenta la cornice giuridica di una serie di azioni attuate già da qualche tempo dal segretario del Partito comunista dello Xinjiang, Chen Quanguo. È da ormai un anno, infatti, che il governo locale ha attivato una serie di azioni per imporre lo Stato sopra la religione. Da mesi ai giovani sotto i diciotto anni è vietato l’accesso in moschea, se non per partecipare alle cerimonie dei giorni festivi, così come è vietato seguire il Ramadan. Alle moschee è applicato un sistema di controllo per cui gli imam sono controllati durante le loro prediche, al fine di evitare che lancino messaggi contrari allo Stato o inneggianti alla guerra santa.Ma la nuova legge fa un passo in avanti in questa repressione, perché entra non soltanto nella vita pubblica del cittadino, ma anche nelle stesse case della minoranza uigura. Non è più soltanto la manifestazione in pubblico della religione islamica a essere proibita, ma qualunque comportamento anche interno alla propria famiglia in cui si riconosce una prevalenza della religione sulle leggi dello Stato. Via le barbe lunghe, via le vesti islamiche, divieto dei matrimoni e dei funerali religiosi, divieto di qualsiasi copricapo islamico maschile e femminile.Una campagna di repressione capillare, radicale e ostile con cui il governo di Pechino ha deciso di fermare un pericolo che ritiene più di una semplice minaccia. Un esempio? È fatto divieto di rifiutare la programmazione radiofonica o televisiva dello Stato. Oppure è vietato l’utilizzo di nomi “abnormi”, come molti nomi islamici, perché mezzi di pubblicità dell’islamismo radicale. Un altro esempio è il divieto di qualunque tipo di educazione impartita in casa che escluda o che contrasti quella imposta nella scuola di Stato.Una legge che, di fatto, cerca di vietare l’Islam in ogni sua manifestazione pubblica e privata, relegandolo, sostanzialmente, alla sfera intima della persona. Ma una legge che, di contro, tanto è capillare quanto assolutamente priva di spiegazioni. Attualmente, infatti, il governo ha posto divieti e obblighi ma non ha spiegato nei portali d’informazione in cosa consisterebbero, ad esempio, i nomi abnormi o i materiali estremisti da considerare proibiti. Il China Daily, sito d’informazione cinese in lingua inglese, ha per esempio spiegato il divieto della barba lunga perché promotore del fondamentalismo islamico, ma senza nulla aggiungere su come e quanto.La legge si inserisce in un programma del governo di Xi Jinping che vuole sradicare e abbattere qualsiasi forma di ribellione nella regione e ripristinare da subito il controllo del governo centrale di Pechino e di quello locale di Ürümqi. Lo Xinjiang è fondamentale per echino per due motivi: il primo di sicurezza interna, il secondo geografico ed economico.Sul fronte interno, gli uiguri rappresentano da troppo tempo per la Cina una minaccia costante e un fattore di destabilizzazione. Sono state centinaia le persone uccise in attacchi da parte delle cellule radicali nella regione o in scontri etnici. La recrudescenza del conflitto ha avuto picchi di violenza negli ultimi dieci anni che sono spesso sfociati in attentati terroristici e scontri di piazza. Nel luglio del 2009 la repressione del governo cinese arrivò ad abbattere un intero centro di una città e alla morte di centinaia di persone negli scontri etnici tra uiguri e han.Sul fronte strategico, la regione è d’importanza capitale per la posizione geografica e per le risorse che possiede. Incastonata tra la Cina, la Russia, la Mongolia, le repubbliche dell’Asia centrale fino ad arrivare a confinare con il Pakistan, lo Xinjiang è la porta della Cina verso l’Occidente. Inoltre, a livello economico, la regione è di fondamentale importanza perché ricca di giacimento di minerali e idrocarburi, e parte del sistema del One Belt One Road, quella cintura commerciale ed economica che la Cina intende costruire con tutta l’Asia per terminare verso Occidente. Per questo motivo, il presidente Xi Jinping ha parlato nel mese scorso della costruzione di un ideale muro di ferro per assicurare la sicurezza e la stabilità della regione.Sono troppi gli interessi in gioco e troppi i rischi di un’escalation del terrorismo nell’area. Pechino non può permettersi in questo momento una regione in preda al terrore, né forme di radicalismo che contrastino con lo Stato e destabilizzino l’area. Inoltre, il pericolo che dall’Asia centrale possano giungere terroristi affiliati a sigle islamiste, non fa dormire sonni tranquilli al gigante cinese. Pericoli che Pechino ha deciso di contrastare con una repressione feroce e capillare contro tutto ciò che possa essere considerato una minaccia per il Paese, che sia l’educazione familiare, un vestito, o la partecipazione a una moschea.

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