Lo scorso 27 febbraio il Ministro degli Esteri tedesco, Heiko Maas, aveva puntato il dito contro Russia e governo siriano durante un intervento presso in Consiglio di Sicurezza dell’Onu, accusandoli di “crimini di guerra”. Secondo quanto affermato da Maas: “Damasco e il suo alleato russo hanno l’obbligo di proteggere i civili e invece bombardano infrastrutture civili come ospedali e scuole” aggiungendo poi che “i responsabili dovranno affrontarne le conseguenze”, come riportato dal Deutsche Welle. L’intervento faceva riferimento all’offensiva dell’esercito governativo siriano su Idlib, ultima fetta di territorio siriano in mano ai jihadisti e occupato anche dai militari turchi.

In seguito è poi toccato al Ministro della Difesa tedesco, Annegret Kramp-Karrenbauer, rincarare la dose affermando che la Germania è pronta a far leva sugli stretti rapporti commerciali con la Russia per far capire al Cremlino di non poter fare il bello e il cattivo tempo, come già fatto durante il conflitto ucraino, aggiungendo che “la Germania è al corrente di quello che i russi stanno facendo in Siria”. Insomma, se il Ministro degli Esteri tedesco accusava Mosca e Damasco di crimini di guerra, il ministro della Difesa arrivava addirittura ad ipotizzare delle sanzioni economiche.

A inizio marzo interveniva anche la Cancelliera Angela Merkel che esprimeva sostegno all’ipotesi della creazione di “zone sicure” nell’area di Idlib, dove jihadisti e turchi sono sotto assedio e lamentava il fatto che Putin non avesse partecipato all’incontro a quattro organizzato con Macron ed Erdogan, preferendo incontrare il leader turco a Mosca per conto proprio. Non solo, perché a metà marzo l’esecutivo tedesco rendeva noto di aver autorizzato il finanziamento di 125 milioni di Euro per aiutare i turchi nella gestione dei rifugiati di Idlib. Del resto anche il ministro degli Esteri Haiko Maas aveva affermato che la Turchia non poteva essere lasciata sola nella gestione dei flussi migratori; come se i 733 miliardi incassati da Ankara tra il 2007 e il 2016 (come parte del programma Instrumentum per-Accessum) e gli altri 10 che incasserà entro il 2020 non dovessero bastare.

I legami tra Berlino e Ankara

I legami tra Germania e Turchia sono di vecchia data e risalgono ai tempi delle relazioni tra Impero prussiano e ottomano; rapporti poi incrementati nel ‘900 in seguito al forte flusso migratorio turco verso gli stabilimenti industriali in territorio tedesco, a partire dagli anni ’60, per far fronte alla carenza di manodopera maschile del dopoguerra. Un legame che si è poi consolidato nel tempo, seppur non senza momenti di tensione. Fatto sta che oggi i turchi in Germania sono più di tre milioni e circa la metà con cittadinanza tedesca.

All’interno di questa vasta comunità, è ben radicato l’apparato ideologico-propagandistico del partito islamista Akp e non è certo un caso che Erdogan goda di ampio sostegno all’interno della comunità turca di Germania, al punto che alle elezioni del 2015 circa il 60% dei votanti turchi in territorio tedesco aveva votato per l’Akp.

Dietro tale consenso vi è anche un’abile manovra da parte di Ankara che è riuscita a cambiare le dinamiche interne al Diyanet, l’ente governativo turco per gli affari religiosi, appiattendolo su posizioni islamiste neo-ottomane in linea con quelle di un’altra organizzazione turca attiva in Europa, la Mili Gorus, e unificando dunque le visioni dei due attori, precedentemente in competizione tra loro e organizzando iniziative in comune, tutto a vantaggio dell’Akp.

Non a caso, a inizio gennaio il governo turco ha annunciato l’attuazione di negoziati per poter aprire una rete di scuole turche a Berlino, Colonia e Francoforte (tre città con una vastissima comunità turca), in modo da assicurare l’attività delle scuole tedesche ad Ankara, Istanbul e Izmir (quest’ultima chiusa nel 2018 per problemi di licenza).

Il negoziato è però stato duramente criticato dai socialisti di sinistra tedeschi per voce del parlamentare di origine turca Sevim Dagdelen: “È fatale che il governo federale negozi con Erdogan l’eventualità di aprire le sue scuole private in Germania mentre l’autocrate turco imprigiona ed esilia i suoi critici…Erdogan polarizza e divide la nostra società. Le sue scuole sono veleno per l’integrazione e la democrazia”.

Il rischio è che queste scuole divengano di fatto degli strumenti in mano alla propaganda ideologico-dottrinaria dell’Akp e che si ripetano scene come quelle viste nel 2018 in Austria all’interno di una moschea gestita dalla Atib (l’Unione turco-islamica perla collaborazione culturale e sociale in Austria), quando venne inscenata un’inquietante recita con minorenni vestiti da militari-martiri, corpi stesi a terra davanti a bandiere turche e bambine vestite di bianco, anche loro in modalità da martirio. Il governo austriaco reagì comunicando la chiusura di sette moschee turche e l’espulsione di una quarantina di imam, provvedimenti definiti “islamofobici” dal leader turco Erdogan.

Berlino sembra comunque intenzionata a seguire una politica estera filo-Ankara su più livelli che include l’elargizione di fondi alla Turchia per la gestione dei flussi migratori, il sostegno ai ribelli anti-Assad e arrivando addirittura a minacciare i rapporti economici che la Germania intrattiene con Mosca. A questo punto non è difficile capire il perché del murale dedicato alla Merkel dai jihadisti di Idlib, apparso sul web qualche giorno fa, con tanto di bandiera della “Siria Libera” sullo sfondo.





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