Meriem Rehaily nel 2015 ha solo 19 anni: è una ragazza che veste all’Occidentale, frequenta i locali di Arzergrande, piccolo comune in provincia di Padova, assieme alle sue amiche e nulla lascia presagire un radicale cambiamento della sua vita; nata in Italia da una famiglia di origine marocchina, Meriem improvvisamente sparisce e di lei non si sa più nulla. Dopo alcuni giorni di indagini, arriva un drammatico sospetto: la ragazza potrebbe trovarsi in Siria a combattere sotto le insegne del califfato; secondo gli inquirenti, in un’apparente tranquilla mattinata di luglio Meriem Rehaily tramite il treno raggiunge l’aeroporto di Bologna e, da lì, si imbarca per la Turchia arrivando quindi in quella che è la prima tappa di un viaggio con destinazione i territori siriani controllati dall’ISIS. La storia personale della diciannovenne viene inghiottita in quella del califfato, mentre in Italia il suo nome viene scritto nell’elenco dei foreign fighters, i combattenti di origine europea arruolatisi tra i terroristi. Secondo le ultime ricostruzioni, adesso Meriem Rehaily sarebbe tra chi è scappato dalla disfatta del califfato con però l’intenzione di portare la guerra santa in Europa.
Meriem Rehaily ‘sposa’ dell’Isis
La fuga della ragazza ha destato scalpore tanto in provincia di Padova, quanto nel resto d’Italia; diverse trasmissioni televisive si sono occupate del caso, il padre ha anche lanciato un appello alla figlia affinché possa pentirsi di essere andata via dal suo paese, chiedendo contestualmente il ritorno a casa. Nel frattempo per lei, oltre al mandato di cattura internazionale, è anche iniziato il processo a Venezia con l’accusa di arruolamento con finalità di terrorismo; la sentenza di primo grado è arrivata la settimana scorsa e Meriem Rehaily è stata condannata in contumacia a quattro anni di carcere, più l’espulsione a fine pena. Ma in realtà in tanti, mentre il giudice leggeva la sentenza, erano convinti che il tribunale stava di fatto giudicando una persona già morta; nessun contatto da quel mese di luglio, in due anni soltanto la traccia di una chiamata ad un parente smentita poi dal diretto interessato: troppo il lasso di tempo trascorso per poter ipotizzare che la ragazza potesse essere ancora in vita.
Nella scorsa estate poi, mentre a Raqqa infuriavano i combattimenti per togliere di mezzo il califfato dalla sua sedicente capitale, Meriem Rehaily è stata data per morta anche se non ufficialmente; alcune fonti parlavano di morte avvenuta nel campo di battaglia, mentre altre sostenevano che in realtà l’italo marocchina era stata lapidata dalla polizia religiosa dello Stato Islamico. Nel reportage dello scorso 19 luglio di Fausto Biloslavo, Meriem Rehaily è stata annoverata tra le ‘spose dell’ISIS’ assieme ad altre italiane presenti a Raqqa durante gli anni del califfato: Sonia Khediri, Maria Giulia Sergio ed Alice Brignoli sono soltanto alcuni dei nomi trapelati dal reportage sopra menzionato e, in particolare, dalle conversazioni con altre donne presenti in un campo profugo di un quartiere di Raqqa già liberato dai filo curdi. Meriem Rehaily, si legge nell’articolo di Fausto Biloslavo, nella città siriana si sarebbe fatta chiamare ‘Sorella Rim’.
Nour, ragazza libanese che ha sposato un miliziano dell’ISIS, nell’inchiesta pubblicata il 19 luglio scorso, ha fatto riferimento ad una giovane italiana raggiunta da un controllo della polizia religiosa del califfato: “Le hanno detto che se confessava il “peccato” sarebbe stata perdonata e lei ha ammesso la relazione extraconiugale – sono le parole della giovane libanese – È stata portata vicina alla moschea Al Nour e lapidata a morte”. Il forte sospetto diffuso in questi mesi, è che Nour stesse descrivendo di fatto la storia di ‘Sorella Rim’ e quindi della ragazza italo marocchina, rea secondo i vertici dell’ISIS di aver commesso adulterio e dunque punita pubblicamente con un’atroce condanna.
La rivelazione che arriva dal Marocco: Meriem Rehaily è viva ed è tornata in Europa
Come detto in precedenza, il 12 dicembre scorso la ragazza che fino al luglio 2015 conduceva una tranquilla vita in provincia di Padova è stata condannata a quattro anni di reclusione; a distanza di una settimana, nell’edizione del 19 dicembre del quotidiano marocchino Al Ahdath Al Maghribia è stato pubblicato un articolo in cui si parla proprio di Meriem Rehaily: “Sulla base di informazioni concordanti raccolte dai vari servizi di intelligence europei – si legge nella traduzione riportata da un lancio di AgenziaNova – Meriem Errahili è tornata dalla Siria e si trova molto probabilmente in Francia”. La trascrizione del cognome appare diversa rispetto alla denominazione ufficiale della ragazza in Italia, pur tuttavia tale circostanza potrebbe dipendere da una diversa tipologia di pronuncia; infatti, la descrizione riporta inequivocabilmente alla ragazza padovana: la Meriem di cui si parla sul quotidiano marocchino ha 21 anni, risulta essere scappata nel luglio 2015 e condannata in Italia a quattro anni di reclusione e quindi gli elementi sembrano coincidere.
La giovane italo – marocchina, secondo le informazioni che il quotidiano di Rabat ha raccolto da fonti dell’Interpol, verrebbe descritta come ancora fedele alla causa jhadista e pronta a colpire in Europa: ecco il motivo dell’allarme scattato a livello continentale e non soltanto in Francia, lì dove Meriem si troverebbe, almeno secondo quanto scoperto grazie all’incrocio di diversi dati d’intelligence italiana e di altri paesi del vecchio continente. La caccia alla ragazza scappata in Siria quando aveva appena 19 anni è ricominciata: a far scattare nuovamente le ricerche, non è soltanto la necessità di far scontare la pena inflitta in primo grado a Venezia, ma anche la pericolosità del soggetto. Meriem Rehaily, se le informazioni saranno confermate, sarebbe tra le prime foreign fighters italiane a rientrare dai campi di battaglia ed a concretizzare l’incubo di un ritorno in Europa di diversi combattenti dopo la caduta dell’ISIS.
Su chi o cosa abbia spinto Meriem Rehaily a partire, è ancora un mistero: secondo i genitori della ragazza, la giovane sarebbe entrata in contatto tramite il web con ambienti jihadisti ed avrebbe subito il lavaggio del cervello; tra le prove portate contro di lei al processo, anche l’intercettazione in cui si evinceva l’esultanza dell’allora poco più che maggiorenne italo marocchina dopo aver visto un video in cui un prigioniero del califfato veniva decapitato.