Il terrorismo jihadista è tornato a colpire nel Sahel: almeno venti civili sono infatti stati uccisi nel corso di una serie di attacchi compiuti contro alcuni villaggi nel Niger occidentale. Ibrahim Tidjani Katchella, governatore della regione di Tillaberi, ha reso noto che gli assalitori erano alla guida di motociclette e che hanno saccheggiato i negozi prima di dirigersi verso nord. I luoghi colpiti dalle violenze non sono lontani dalla zona di confine tra Burkina Faso, Niger e Mali: un’area, quest’ultima, dove i gruppi armati legati allo Stato Islamico e ad Al-Qaeda si sono rafforzati. Le autorità del Niger avevano provato a limitare, senza successo, le scorribande dei guerriglieri limitando l’uso di motociclette nella regione e chiudendo alcuni mercati alimentari che avrebbero rifornito di cibo i terroristi. Nella giornata di domenica, invece, tre Caschi Blu ciadiani erano rimasti uccisi e quattro feriti nel corso di un attentato che aveva colpito un convoglio delle Nazioni Unite nel nord del Mali.
Il supporto di Bruxelles
L’Unione Europea ha recentemente mostrato preoccupazione per la crescente minaccia costituita dal terrorismo nel Sahel: secondo Bruxelles, le cui considerazioni vengono riportate dall’ecofinagency, “la crisi che ha colpito gli Stati membri della G5 Sahel e dell’area del Lago Ciad potrebbe estendersi alle nazioni confinanti ed arrivare a raggiungere la fascia costiera del Golfo di Guinea”. L’Unione ha così deciso di elargire 194 milioni di euro alla G5 Sahel per “rafforzare le forze di sicurezza dei Paesi dell’area e per favorirne la presenza nelle regioni più fragili”. Non è la prima volta che i donatori internazionali annunciano l’elargizione di fondi alla G5 Sahel ma di solito queste promesse hanno subito dei ritardi e ciò ha inficiato l’operatività della G5 Sahel Joint Force. La pandemia di Covid-19, che ha provocato una grave recessione mondiale, ha ulteriormente aggravato la situazione ed ha fatto piombare gli Stati della regione anche in una vera e propria emergenza sanitaria.
Le prospettive
Il coronavirus rischia di destabilizzare il Sahel: le nazioni della regione sono prive di infrastrutture sanitarie, hanno risorse limitate e sono già preda di alcune problematiche come la malnutrizione. Questa situazione fornirà nuove opportunità ai gruppi operanti nel Sahel come Jama’at Nasr al-Islam wal Muslimin, legata ad Al-Qaeda e lo Stato Islamico nel Grande Sahara (ISGS) che potranno sfruttare le vulnerabilità delle comunità locali ed ottenere maggiore supporto e forza per perseguire i propri obiettivi. Il numero degli attacchi compiuti era peraltro già in crescita: il Burkina Faso, ad esempio, ha visto aumentare del 2150 per cento, tra il 2018 ed il 2019, le vittime provocate da attentati terroristici. Questa zona del mondo potrebbe dunque diventare, nel giro di alcuni mesi, il nuovo fronte caldo del radicalismo islamico e c’è il rischio che si sviluppi un pericoloso effetto domino. I jihadisti potrebbero cercare di abbattere dapprima l’esecutivo più vulnerabile e sotto pressione, come quello del Mali e poi espandere sempre di più le proprie attività nelle altre nazioni. Le popolazioni locali, visto quanto accaduto, potrebbero divenire preda del panico e di fatto far collassare altri Stati. Sviluppi di questo genere potrebbero provocare danni irreparabili nel lungo termine e portare alla radicalizzazione di fasce sempre più ampie della popolazione.