La pandemia ha monopolizzato per diversi mesi l’attenzione mediatica, facendo risultare marginale ogni altro argomento. Non si è più parlato in Europa ad esempio di terrorismo. Eppure, poco prima dell’inizio dell’emergenza sanitaria, lo spettro di nuovi attentati e i ricordi delle notti terribili del Bataclan e di altri tragici eventi rappresentavano elementi ben presenti nel dibattito politico. Da un lato il fatto che si sia parlato sempre meno del fenomeno jihadista è stato un bene, indicando una diminuzione della pressione terroristica nel Vecchio Continente. Ma dall’altro lato una “distrazione” dai temi riguardanti la sicurezza potrebbe dare modo ai gruppi estremisti di trovare spazio per nuovi attacchi. Da parte delle principali forze di sicurezza l’attenzione non è mai calata. Anzi, il monitoraggio delle forze radicali è andato avanti e oggi ha portato a nuovi allarmi.

Come si è mossa la jihad durante la pandemia

Subito dopo gli attacchi del 7 luglio 2005 a Londra, i primi in Europa attuati da Al Qaeda con l’uso di kamikaze, l’intelligence di Sua Maestà era stata molto chiara: secondo le forze di sicurezza del Regno Unito, i terroristi mirano a sfruttare una larga esposizione mediatica. Quando in Italia prima e nel resto del continente poi, nel marzo del 2020, l’attenzione della popolazione si è rivolta unicamente verso l’esplosione dei casi di contagio da coronavirus, le sigle jihadiste sono entrate in una fase di apparente inattività. A dimostrarlo è la sequenza di attacchi portati avanti nel 2020. L’anno contrassegnato dalla pandemia si era aperto con due attacchi, uno portato a termine il 3 gennaio a Parigi e un altro invece il 2 febbraio a Londra. In entrambi i casi si è trattato di assalti all’arma bianca attuati da due soggetti radicali, probabilmente affiliati all’Isis. Poi da marzo a maggio, nel periodo cioè dove l’Europa ha vissuto la prima ondata pandemica, non sono stati registrati episodi terroristici di matrice islamica.

Quando si fa riferimento a forze jihadiste, l’attenzione è rivolta sia ad Al Qaeda che all’Isis: entrambe le principali formazioni terroristiche sono attive negli ambienti radicali europei e capaci di compiere nuovi attacchi. Un membro dell’Isis di origine libica il 20 giugno 2020 è entrato in azione nella città inglese di Reading, aggredendo alcuni passanti con un coltello. Le tre vittime di quella tragica giornata sono state le prime ad essere state uccise dal terrorismo in Europa dopo la fine dei vari lockdown. Non si è trattato di una casualità: in quel momento infatti, con i contagi in netto calo, i jihadisti sapevano di potersi riguadagnare la scena mediatica. In autunno poi il terrorismo ha colpito duramente. Prima in Francia, dove a Nizza un tunisino sbarcato poche settimane prima a Lampedusa ha ucciso il 29 ottobre tre fedeli all’interno della Cattedrale, poi in Austria. Qui la sera del 2 novembre ad entrare in scena è stato un commando in grado di terrorizzare diversi punti di Vienna, uccidendo complessivamente quattro persone. Proprio a novembre il Vecchio Continente è entrato nella fase più acuta della seconda ondata di contagi e proprio da quel momento in poi non sono stati registrati nuovi attacchi. Ulteriore segno di come, senza la possibilità di essere in prima pagina, i miliziani islamisti frenano le proprie velleità criminali.

Le allerte per il futuro

Il terrorismo è apparso ridimensionato in Europa, ma tragicamente molto attivo nelle aree più calde. Dal medio oriente, con un ritorno degli attentati di matrice jihadista anche nel cuore di Baghdad a marzo, fino all’Africa subsahariana, Isis ed Al Qaeda hanno dato prova di essere tutt’altro che in dormiveglia. Il timore adesso è che il terrorismo possa tornare a colpire anche in occidente. L’emergenza Covid, sotto il profilo mediatico, è per il momento ridimensionata complice un nuovo abbassamento dei casi di contagio e l’avanzata dei piani di vaccinazione. L’allarme è duplice: non c’è soltanto la possibilità dell’attuazione di nuovi attacchi pianificati, ma anche il timore dovuto a un’ulteriore destabilizzazione dei Paesi più vulnerabili a seguito proprio dell’emergenza coronavirus. Su quest’ultimo fronte il Consiglio supremo di Difesa italiano, riunitosi lo scorso 14 maggio, è stato molto chiaro: “La pandemia sta aggravando la situazione socioeconomica delle regioni più fragili – si legge in una nota diramata dopo la riunione a cui ha partecipato anche il capo del governo Mario Draghi – con conseguenze di carattere umanitario ed implicazioni anche sulla sicurezza delle popolazioni”.

“In tale contesto – hanno proseguito nella nota i membri del consiglio – il terrorismo transnazionale potrebbe trovare nuovi spazi di manovra e resta una minaccia preoccupante, che deve essere contrastata con un’azione decisa, di carattere multilaterale e nell’ambito delle iniziative della Comunità Internazionale”. Un’allerta che non vale solo per l’Italia, ma che è allargata anche agli altri Paesi europei. Il contesto generale, contrassegnato dai colpi di coda della fase attuale dell’epidemia, impone una rigida attenzione per prevenire possibili pericoli sul fronte della sicurezza.