Il 22 Ottobre 1947, viene ricordato come il momento della nascita della “Jihad inc”, in cui il Pakistan iniziò a servirsi della religione per implementare genocidi di popoli locali e delle loro culture, modus operandi che venne attuato anche in Est Pakistan (oggi Bangladesh) che, nonostante riuscì a liberarsi nel 1972, ebbe delle conseguenze traumatiche che segnarono tante altre generazioni a seguire.

Quello della “Jihad inc” è lo stesso metodo usato in Afghanistan ancor oggi, in cui gruppi di tribali talebani addestrati e armati dall’esercito pakistano, con soldati pakistani in borghese, hanno contribuito alla presa di Kabul e all’assalto del Panjshir. È doveroso perciò fare un salto nel passato al fine di chiarire, far luce e raccontare i fatti realmente accaduti in Kashmir.

Subito dopo aver ottenuto l’indipendenza, l’India scelse di rimanere una nazione democratica laica e di proteggere costituzionalmente le sue minoranze, ma questo non avvenne per il Pakistan che al contrario si dichiarò una nazione teocratica islamica senza alcun tipo di rispetto per le proprie diversità etniche e che decise di perseguitare non solo le sue minoranze, ma anche i musulmani provenienti dall’India che erano emigrati nella repubblica islamica di nuova costituzione. È proprio l’inizio della jihad la ragion d’essere dell’esistenza del Pakistan, delle sue forze armate e della sua politica.

Il 22 ottobre 1947, il Pakistan intraprese la sua prima Jihad in Kashmir. Fu così devastante che ancora oggi, dopo ben 74 anni, la gente ricorda quei giorni di orrore come “The Black Day”. L’entità dell’orrore e della distruzione fu inimmaginabile e il caos di quei giorni, il tradimento del Pakistan, gli stupri e gli omicidi da parte della milizia tribale armata liberata dall’esercito pakistano, restano ancor oggi impressi nella psiche di ogni kashmiro.

Un paio di mesi dopo la spartizione, i pakistani entrarono in Kashmir violando tutte le norme e gli accordi precedentemente stipulati e lanciando un attacco armato contro lo stato di Jammu e Kashmir con l’aiuto di membri delle tribù dell’attuale regione delle aree tribali ad amministrazione federale (Fata). Le milizie tribali furono addestrate, rifornite di munizioni e dirette dall’esercito pakistano. Saccheggiarono, stuprarono e uccisero centinaia di persone innocenti della Valle, indipendentemente dalla loro religione. I tesori del Kashmir vennero saccheggiati. Alcuni genitori avvelenarono le loro figlie preferendo che morissero con dignità. Migliaia di uomini furono convertiti con la forza all’Islam. Bambini innocenti furono massacrati. Centinaia di migliaia di uomini vennero lasciati senza un tetto. Fu impossibile stimare un conteggio degli orfani.

Il maggiore generale Akbar Khan dell’esercito pakistano, che organizzò l’attacco denominandolo “Operazione Gulmarg”, in seguito ebbe anche la possibilità di raccontare il suo successo nel libro “Raiders in Kashmir”, in cui si evince solo il primo dei tanti casi di perfidia del Pakistan.

Il modus operandi del Pakistan fu quello di creare una guerra in nome dell’Islam al solo scopo di massacrare innocenti: è proprio questo il motivo per cui il 22 ottobre diventa il promemoria dell’obiettivo del Pakistan di annientare il Kashmir e la sua cultura.

Una strategia molto simile, nata inizialmente per catturare e sottomettere il Kashmir, è stata utilizzata dal Pakistan in Afghanistan. Un gruppo sunnita wahabita, che non ha nulla in comune con la cultura millenaria dell’Afghanistan, sta imponendo il suo ethos religioso e sociale, cancellando il popolo afghano e la sua identità, sotto il nome della religione, con il forte sostegno dell’esercito e dei servizi segreti pakistani (ISI).

Baramulla, il crogiolo delle culture del Kashmir, del Punjabi e della Gran Bretagna, rimane l’esempio più spaventoso di violazione dei diritti umani. Le donne furono rapite nel 1947 e vendute come schiave nei mercati del commercio di carne di Rawalpindi e Peshawar o inviate in lontani territori tribali. In loro onore molti uomini si gettarono nel fiume Jhelum o in dei pozzi chiusi. Coloro che resistettero vennero mutilati o uccisi senza pietà e i loro corpi furono gettati nel fiume Jhelum. Secondo alcuni testimoni oculari, l’acqua del fiume cambiò colore per via della grande quantità di sangue.

Il caso più orribile fu quello del St Joseph’s College, Convent and Hospital, il luogo più pubblicizzato dell’intero raid. Le suore, i sacerdoti e la congregazione, i pazienti dell’ospedale vennero violentati e massacrati. Tra questi anche alcuni europei, tra cui il tenente colonnello Dykes e sua moglie, una donna inglese che aveva partorito pochi giorni prima; Madre Teresalina, una giovane suora spagnola; Madre Aldertrude, l’Assistente Madre Superiora e il signor Jose Barretto, un anglo-indiano che venne ucciso in giardino prima che le suore cristiane fossero schierate davanti ad un plotone di esecuzione. Questi uomini vennero descritti come “selvaggi montanari agili come gatti selvatici” che “saccheggiarono la cappella del convento fino all’ultima maniglia di ottone”.

Ironia della sorte, il colonnello Dykes del reggimento sikh, che fu spedito in India a metà degli anni ’30 per aiutare con il trasferimento del potere, si era laureato a Sandhurst dove uno dei suoi compagni di lotto, Akbar Khan, progettò poi l’invasione del Kashmir del 22 ottobre, dove Dykes venne assassinato.

Il Pakistan non si è mai scusato per la violazione dei diritti umani compiuta dal suo esercito, nonostante ne abbia spesso rivendicato il merito. È profondamente triste vedere come la Commissione per i diritti umani delle Nazioni Unite e Amnesty International abbiano scelto di ignorare questo massacro. L’assalto alla missione di San Giuseppe ai piedi pacifici dell’Himalaya è stato l’inizio di una jihad per rivendicare il Kashmir – “Paradiso sulla Terra”.

Da quel giorno nel 1947, dove oltre 35mila kashmiri persero la vita, il Kashmir diviene l’area più militarizzata del mondo. I kashmiri vivono in una terra frantumata e il Pakistan è responsabile di decenni di violenze. La strategia, nata con l’Operazione Gulmarg, è stata seguita dall’esercito pakistano nel Pakistan orientale (oggi bangladesh). La pulizia etnica e il genocidio, insieme all’imposizione di norme socio-culturali, non hanno portato nient’altro che la balcanizzazione del Pakistan in un nuovo paese, il Bangladesh, nel 1971. Ciò che il Pakistan si è lasciato alle spalle sono di nuovo decenni di traumi, morte e distruzione. Con la caduta di Kabul in mano ai talebani il 15 agosto, questo 22 ottobre assume un significato più grande, per non dimenticare mai come e dove tutto ha avuto inizio. Si spera che la comunità internazionale, almeno adesso, presti attenzione a questa minaccia dalle proporzioni globali.

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