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A leggerla così, la notizia stride con il passato più o meno recente dei rapporti tra Italia e Francia: l’Eliseo ha annunciato che sette ex membri delle Brigate Rosse sono stati arrestati stamane a Parigi su richiesta dell’Italia, mentre altri tre sono in fuga e sono ricercati. Si tratta di atti di terrorismo risalenti agli anni ’70 e ’80. Secondo quanto si apprende da fonti investigative francesi, si tratta di Enzo Calvitti, Giovanni Alimonti, Roberta Cappelli, Marina Petrella e Sergio Tornaghi, tutti delle Brigate Rosse; di Giorgio Pietrostefani di Lotta Continua e di Narciso Manenti dei Nuclei Armati contro il Potere territoriale. Un’operazione che ha previsto un’intensa collaborazione tra i due Paesi che sembra suonare il Requiem definitivo sulla vecchia dottrina Mitterrand. Un passaggio dei tempi dettato anche degli ultimi anni turbolenti che hanno visto il territorio francese colpito da attentati e agguati costati la vita a decine di cittadini transalpini, di fatto toccando con mano gli effetti del terrorismo. Ma questo addio alla dottrina dell’ex presidente socialista parte da lontano.

La nascita della Dottrina Mitterrand

Durante la grande stagione del terrorismo rosso, italiano ed europeo, l’Europa si pose il problema di una trattazione collegiale della materia, ma una convenzione che potesse disciplinare l’intricata questione non vide mai la luce. Valéry Giscard d’Estaing, presidente della Repubblica dal 1974 al 1981, cercò di raccogliere le ceneri di quell’iniziativa, proponendo, in maniera piuttosto confusa, l’idea di «spazio giudiziario europeo». Una sterzata in senso gallicano si ebbe con il cambio della guardia che portò alla presidenza il socialista François Mitterrand nel 1981: fu proprio quest’ultimo che, in un discorso al Palais des Sports di Rennes il 1º febbraio 1985 segnò un cambiamento epocale.

La Francia era decisa a combattere duramente il terrorismo e concedere l’estradizione per i delitti di sangue ma, in tutti i casi di reati meramente ideologici, si apriva un’enorme zona grigia, soprattutto a proposito di un certo numero d’italiani giunti in Francia: “Sono circa trecento e più di un centinaio erano già qui prima del 1981. Hanno evidentemente rotto con il terrorismo. Anche se si sono resi colpevoli in passato—in molti casi è probabile—sono stati ricevuti in Francia, non sono stati estradati, si sono inseriti nella società francese, vivono qui, si sono molto spesso sposati (…) la maggior parte di essi ha chiesto la naturalizzazione”.

Un colpo d’accetta a ciò che l’Italia poteva ottenere o meno, alla lotta italiana al terrorismo che viveva la sua stagione più dura (Moro era stato ucciso solo pochi anni prima) ma soprattutto un confine sottilissimo tra chi poteva essere definito terrorista o sedicente ex. Ergo, tutti coloro i quali non si fosse macchiati di delitti di sangue non sarebbero stati estradati. Di fatto, dunque, la Francia si trasformò nel buen retiro per decine di ricercati stranieri ritenuti da Parigi “rabboniti” dalla vita francese. Nel caso italiano, l’applicazione della dottrina venne giustificata, sulla stampa e nei corridoi del potere, anche in nome di una presunta “non conformità” della legislazione italiana agli standard europei, soprattutto per quanto concerneva le leggi speciali, l’uso della carcerazione preventiva e il rapporto con i collaboratori di giustizia.

Fu lo stesso Mitterrand a difendersi da accuse di connivenza o giustificazionismo verso il fenomeno, in virtù della sua appartenenza politica: «Sì, ho deciso l’estradizione, senza il minimo rimorso, di un certo numero di uomini accusati d’aver commesso dei crimini (…) Il diritto d’asilo, essendo un contratto tra chi ne gode e la Francia che l’accoglie, è sempre stato e sempre sarà rispettato (…) Mi rifiuto di considerare a priori come terroristi attivi e pericolosi degli uomini che sono venuti, in particolare dall’Italia, molto tempo prima che esercitassi le prerogative che mi sono proprie, e che si erano appena ritrovati qui e là, nella banlieu parigina, pentiti… a metà, di fatto … non saprei, ma fuori dai giochi (…)Ma io dico chiaramente: la Francia è e sarà solidale coi suoi alleati europei, nel rispetto dei suoi principi, del suo diritto: sarà solidale, rifiuterà ogni protezione diretta o indiretta del terrorismo attivo, reale, sanguinario». Le polemiche e l’astio con Roma, però, non si spensero con il tramonto della stagione del terrorismo.

Il caso Cesare Battisti

Sebbene l’epopea dei terroristi (semi)nascosti in Francia abbia avuto vari protagonisti, è stato soprattutto il caso Cesare Battisti a rinfocolare l’acredine tra Parigi e Roma. Battisti, attivo durante gli anni di piombo come membro del gruppo Proletari Armati per il Comunismo era evaso dal carcere di Frosinone nel 1981 dopo essere stato condannato a 12 anni in primo grado per banda armata; venne condannato in seguito in contumacia all’ergastolo, per quattro omicidi, due commessi materialmente, due in concorso. Evaso nel 1981, Battisti per quasi un anno visse da clandestino a Parigi.

Ed è nella ville lumière  che si diede alla scrittura, fondando perfino una rivista culturale, Via Libre. Dopo un’ulteriore latitanza messicana, Battisti tornò in Francia nel 1990 con aspirazioni da letterato ed intellettuale à la page. Poco tempo dopo venne arrestato a seguito di una richiesta di estradizione del governo italiano. Nell’aprile 1991, dopo quattro mesi di detenzione, la Chambre d’accusation di Parigi lo dichiarò non estradabile: tra le motivazioni, il fatto che, secondo la magistratura francese, le prove a suo carico erano “contraddittorie” e “degne di una giustizia militare”. Tutto in linea con la dottrina Mitterrand.

Nel 2004 il caso Battisti riesplode: viene arrestato il 10 febbraio a Parigi sempre su richiesta delle autorità italiane. Ma in Francia si scatena una campagna in suo favore sostenuta dagli intellettuali gauchisti e il 3 marzo Battisti viene scarcerato. Il 30 giugno successivo dopo l’udienza per l’estradizione, la corte d’appello francese dà il via libera: Battisti ricorre e perde. Il 23 ottobre il primo ministro francese firma il decreto di estradizione in sua assenza. Lui, infatti, è fuggito in Brasile.

Numerosi passi erano stati compiuti con l’arrivo di Jacques Chirac. Nel 2004 il presidente francese tornò sulla questione tuonando: “Nello spazio giuridico europeo se una persona viene condannata per reati di sangue, nel caso di Battisti per terrorismo, concedere l’estradizione è un dovere”. Sembrò una sterzata definitiva, considerando che quelle parole furono pronunciate in una conferenza stampa congiunta con Silvio Berlusconi in un vertice italo-francese. Nella stessa occasione, aggiunse: “Battisti fu condannato definitivamente nel 1993 dalla giustizia italiana per diversi omicidi e reati di sangue.

Ora la Chambre de l’Instruction della Corte d’appello di Parigi ha dato un parere favorevole all’estradizione”, dichiarando di lasciare il tempo alla Corte di cassazione per far conoscere la posizione della Francia. La posizione di Chirac, duramente contestata da Socialisti, Verdi e Comunisti francesi, giustificava il cambio di rotta anche in virtù di una evoluzione delle leggi italiane che, a suo dire, erano divenuto meno lesive dei diritti umani. Un anno pregno di significati il 2004 anche in virtù del fatto che, nell’ambito del caso Cesare Battisti, il Consiglio di Stato, massimo organo giurisdizionale amministrativo e consultivo della Repubblica francese, negò ogni validità giuridica alla vecchia dottrina.

Cosa è cambiato negli ultimi anni

Cosa è accaduto nel frattempo? Anche Nicolas Sarkozy, prima ministro dell’Interno e poi all’Eliseo, si trovò a gestire un altro caso di estradizione, quello di Marina Petrella, brigatista e condannata all’ergastolo per vari omicidi. La Petrella però possedeva un nobile vantaggio nel suo pedigree: era amica di Valeria Bruni Tedeschi, attrice, sorella di Carla Bruni, moglie di Sarkozy. Così anche la première dame canterina venne investita intellettualmente della vicenda, e il suo strizzare l’occhio al mondo degli intellettuali ex terroristi provocò una bufera senza precedenti che fece sorgere il sospetto di un revival 2.0 della dottrina Mitterrand.

Al netto di una querelle legata ai processi agli intellettuali (nel caso di Erri De Luca), nella quale fu trascinato per la giacca, anche François Hollande finì ad occuparsi, suo malgrado, del problema dell’estradizione, ma per ragioni differenti. Dopo la strage di Parigi, infatti, il governo francese chiese l’estradizione di Salah Abdeslam, arrestato dopo una rocambolesca caccia all’uomo. In quell’occasione, il presidente sottolineò a chiare lettere come la richiesta di estradizione dal Belgio fosse un atto dovuto per poter combattere la minaccia a livello europeo, sollecitando l’approvazione della direttiva europea sul controllo delle armi. Quel momento segnò una svolta, anche se simbolica, perché nobilitò la pratica dell’estradizione per i reati terroristici, che non possono restare impuniti nel tempo e nello spazio, soprattutto quello europeo.

In questi anni, il governo italiano non ha mai desistito nelle richieste di estradizione dei ricercati. I nomi di questa mattina erano, infatti, inclusi in una lista ulteriore di 200 nomi consegnata al governo francese. Agli inizi di aprile, era stata proprio la ministra della Giustizia italiana Marta Cartabia, durante un incontro con l’omologo Eric Dupond-Moretti, a chiedere ufficialmente la consegna dei brigatisti. Al termine della riunione, avvenuta l’8 aprile scorso, la ministra si era detta “soddisfatta dello scambio di vedute” con il collega francese.

Epilogo di questa lunga scia di bufere, tensioni, arresti, delitti e connivenze tra le due nazioni cugine è l’operazione di questa mattina. Effetto Mario Draghi? Effetto Europa? Forse sì, ma forse occorre guardare anche alla storia recente della Francia: un altro tipo di terrorismo affligge il Paese negli ultimi anni. Innumerevoli stragi. Solo per citarne alcune: Tolosa e Montauban nel 2012, la strage di Charlie Hebdo nel 2015, e poi ancora Nizza nel 2016; l’anno dopo il terrore tornò a Parigi e a Marsiglia e poi ancora a Strasburgo. Non ultima la decapitazione di Samuel Paty, il professore ucciso barbaramente da un estremista islamico. Attentati covati nel cuore della Francia, impastati nel rancore di una integrazione zoppicante, in quelle stesse banlieu un tempo nascondiglio dei terroristi rossi.

“La Francia, essa stessa colpita dal terrorismo, comprende l’assoluta necessità di giustizia per le vittime”. Con queste parole, l’Eliseo ha annunciato la decisione di consegnare alla giustizia gli ex brigatisti. Nella stessa nota si legge che il presidente Emmanuel Macron “ha voluto risolvere la questione come l’Italia chiede da anni”. Ora che la Francia soffre come l’Italia negli anni di piombo, anche se per ragioni diverse, la stagione delle connivenze e della tolleranza è finita. Anche a Parigi.

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