Islamista massacra di botte e lancia dalla finestra la vicina 65enne, “colpevole” di essere ebrea, ma il giudice stabilisce che non può andare in carcere perché aveva fumato hashish e dunque era incapace di intendere e volere. È questa la sentenza shock della Corte di Cassazione francese che sta facendo inorridire e portando le comunità e le associazioni ebraiche di mezzo mondo sul piede di guerra, incluso il famoso Centro Simon Wiesenthal che si è detto “estremamente preoccupato e sconcertato” per la decisione. In poche parole, nessun processo per l’assassino e non andrà in carcere.
L’omicidio
Il 4 aprile 2017 la 65enne professoressa di fisica in pensione, Sarah Attal-Halimi, veniva aggredita all’interno della propria abitazione nel quartiere parigino di Bellevie, 19° arrondisment, picchiata e lanciata dal terzo piano da un vicino di casa, l’allora 27enne immigrato maliano Kobili Traorè. Il soggetto in questione si era introdotto nell’abitazione della donna passando per il balcone di un’altra famiglia che nel frattempo si era barricata in una stanza ed aveva chiamato la polizia.
Traore, noto spacciatore della zona ed anche consumatore di stupefacenti, durante l’aggressione era stato udito gridare l’oramai tristemente noto slogan “Allahu Akbar“, versetti del Corano ed esclamazioni antisemite oltre ad aver successivamente affermato di “aver ucciso Satana” (in riferimento alla povera donna uccisa). Dopo essere rientrato nel proprio appartamento, l’omicida si era messo nuovamente a pregare a voce alta, come testimoniato dai vicini.
Nonostante ciò, fin da subito il governo francese, alcuni media e persino la polizia giudiziaria (2eme Dpj) parlarono di “omicidio volontario” ma misero da subito in discussione la matrice antisemita. In seguito l’esecutivo ne riconobbe la matrice antisemita, ma nel contempo un tribunale della Capitale stabilì che l’assassino non poteva essere ritenuto responsabile dell’omicidio in quanto sotto effetto di stupefacenti durante l’aggressione e dunque incapace di intendere e di volere. Una sentenza agghiacciante e purtroppo confermata dalla Cassazione questa settimana. Intanto Traore è detenuto presso una struttura psichiatrica e molto probabilmente non sconterà neanche un giorno in carcere. Durissima la reazione del presidente francese Emmanuel Macron che aveva parlato della necessità di un giusto processo e a sua volta criticato dalla magistratura che invocava la separazione tra potere politico e giudiziario.
Le denunce dei parenti di Sarah Attal-Halimi
Subito dopo l’omicidio i parenti della Halimi avevano denunciato l’incuranza e l’inadeguatezza delle autorià locali, spiegando che la donna aveva già fatto presente la pericolosità dell’individuo e le costanti minacce ricevute in quanto ebrea, ma senza che venisse fatto nulla. Il fratello della vittima aveva inoltre presentato una denuncia per mancata assistenza a persona in pericolo; ciò in quanto la polizia non solo aveva tardato a giungere sul posto e aveva fatto fatica a individuare l’appartamento, ma aveva anche atteso rinforzi pesantemente armati, a loro dire perchè pensavano fosse in atto un attacco terroristico. Nel contempo Traore aveva fatto in tempo a segregare i vicini, introdursi nell’abitazione della Halimi, picchiarla, lanciarla dalla finestra e rientrare a casa propria e tutto ciò nonsotante le grida di aiuto e le chiamate alla polizia dei vicini di casa.
Lo sconcertante verdetto e le reazioni
A suo tempo la famiglia della donna uccisa aveva anche affermato di non volersela necessariamente prendere con gli agenti di polizia, anche se avrebbero potuto salvarla, ma di voler fare in modo che venisse riconosciuta la matrice islamista ed antisemita dell’omicidio. Chi avrebbe mai detto che quattro anni dopo nemmeno ciò che pareva così evidente e scontato, l’omicidio volontario, venisse rivisto in quanto, a detta della magistratura, l’assassino non può essere ritenuto responsabile in quanto sotto effetto di stupefacenti, fattore che dovrebbe semmai rappresentare una pesante aggravante all’omicidio, ma per qualche strano motivo i magistrati non la pensano così.
Secondo quanto illustrato dagli esperti giuristi della Dalloz, i legali della famiglia hanno fatto giustamente notare come la dipendenza da sostanze stupefacenti non sia una malattia mentale e non ricada dunque nell’ambito delle patologie psichiatriche e neuorpsichiatriche coperte dall’articolo 122/1 del codice penale. Il killer non poteva non essere consapevole degli effetti degli stupefacenti e il suo consumo non può escludere la responsabilità dell’atto.
In sunto, interpretando il verdetto dei magistrati francesi, è sufficiente farsi una canna per poter evitare l’accusa di omicidio ed essere trattati come pazienti psichiatrici invece che come assassini e in questo caso anche terroristi, in quanto è presente la componente ideologica di stampo islamista. Una sentenza dai connotati alquanto ideologici che sta creando una serie di pesanti reazioni a partire dalla stessa famiglia Halimi che ha annunciato il ricorso alla Corte Europea per i Diritti dell’Uomo.
Il Rabbino capo di Parigi, Haim Korsia,ha fatto notare con un Tweet come l’antisemitismo non sia una “malattia mentale”, ma un crimine che va punito. Il Conseil Représentatif des Institutions Juives de France (CRIF) ha parlato di “fallimento della giustizia” mentre il Bureau National de Vigilance contre l’Antisémitisme ha dichiarato di non avere più alcuna fiducia nella giustizia francese in relazione ai reati di antisemitismo in Francia.
Giustificare il terrorismo con una canna
La sentenza della Cassazione parigina non è soltanto un insulto alla vittima dell’omicidio ed ai suoi parenti; come si suol dire in questi casi: “è stata uccisa una seconda volta”, ma è anche un pericolosissimo precedente in un Paese dove l’islamismo è fortemente radicato e diffuso e dove la comunità ebraica è costantemente presa di mira, al punto che negli anni si è generato un vero e proprio esodo verso Israele. E’ bene ricordare che lo scorso 5 marzo a Marsiglia un uomo, già noto alle forze dell’ordine e armato di coltello, ha cercato di introdursi in una scuola ebraica e una volta respinto si è diretto verso un vicino negozio kosher dove veniva bloccato e arrestato.
Verdetti di questo tipo non fanno altro che incentivare ed anche pesantemente ulteriori aggressioni di stampo anti-semita in quanto sarà sufficiente aver fumato marijuana o hashish prima dell’atto. Secondo tale linea, qualsiasi attentatore jihadista potrà essere scagionato se si sarà premunito con l’utilizzo di una buona dose di stupefacente prima di attaccare; poco importa se ci sono dei morti, se è palese la motivazione ideologica sulla quale si fonda l’atto. Non solo, perché il consumo di stupefacente da aggravante diventa quasi magicamente “patologia mentale”. Insomma, è evidente che qualcosa non torna all’interno del sistema giudiziario francese, qualcosa di molto serio.
Sulla questione è intervenuto anche il Prof. Marco Lombardi, esperto di terrorismo e direttore di Itstime presso l’Università Cattolica di Milano: “L’incapacità di intendere e volere è un classico artifizio per limitare le conseguenze di un atto doloso, insomma eravamo abituati a considerarle roba da Azzeccagarbugli. La decisione della Corte di non procedere contro Kobili Traoré secondo me riabilita drammaticamente la storiella che, in fin dei conti, non mi stupisce: mi sembra, infatti, che negli ultimi anni ci sia stata un certa tendenza a cercare una sorta di “deresponsabilizzazione politica” di quegli atti criminosi riconducibili al terrorismo islamista. Mai visti tanti terroristi psichicamente labili: anche questo ci sta per spiegare la scelta della violenza ma non può starci per giustificare l’atto e ridurre la pena. Io trovo pericoloso che non si voglia riconoscere il terrorismo per quello che è nei suoi risultati, questo per un obiettivo che è spesso politico e che, pertanto, non è né atto di giustizia verso le vittime né atto di consapevolezza rispetto aglio scenari che la minaccia comporta”.