Ventiquattro soldati maliani sono stati uccisi e ventinove sono rimasti feriti in un attacco sferrato contro una pattuglia militare nel nord del Mali. L’episodio ha avuto luogo a Tabankort, nella regione di Gao, in un’area dove è attualmente in corso un’operazione congiunta dell’esercito di Bamako e Niamey contro i gruppi di militanti che infestano la zona. Le forze armate hanno riferito che 17 assalitori sono stati uccisi nel corso dell’assalto mentre altri sono stati catturati. Non è stata chiarita l’identità degli attaccanti ma pare probabile che possano essere riconducibili alla galassia jihadista: gruppi legati allo Stato islamico e ad Al Qaeda sono attivi, da tempo, nel Sahel dove hanno provocato molti morti e destabilizzato l’area. All’inizio di novembre, 54 soldati del Mali avevano perso la vita a causa di un attacco mentre altri 38 erano morti il 30 settembre, quando gli insorti avevano condotto un’operazione contro due basi militari situate nel centro del Paese.
Una minaccia alla stabilità
Tibot Nagy, il sottosegretario di Stato aggiunto per gli affari africani negli Stati Uniti, ha paragonato l’escalation di violenze nel Sahel ad un “cancro, che ha avuto inizio in Mali e sta ora contagiando tutta la regione”. I problemi del Mali risalgono al 2012, quando gruppi jihadisti si impossessarono del nord del Paese, minacciando seriamente la sopravvivenza dell’esecutivo di Bamako. L’intervento militare francese, con l’Operation Serval, riuscì ad arginare i gruppi di radicali ed a respingerli verso le aree remote più settentrionali. La presenza militare di Parigi e la formazione della G5 Sahel, un’alleanza congiunta tra Mali, Niger, Mauritania, Burkina Faso e Ciad, non si sono però rivelate decisive per sconfiggere i jihadisti che, anzi, si sono recentemente rinforzati ed hanno esteso il proprio raggio di attività anche a nuove zone. La regione del Sahel è composta anche da vasti spazi desertici ed aree remote, difficili da tenere sotto controllo ed è anche tra le più povere del mondo: un mix esplosivo che consente ai terroristi di poter continuare ad agire con molta libertà.
Le prospettive
Difficile, al momento, immaginare una possibile soluzione a quanto sta accadendo nel Sahel. Il rischio è che, con il passare degli anni, la regione possa diventare un nuovo Afghanistan oppure una nuova Somalia: aree dove la presenza dei jihadisti è ormai endemica e probabilmente ineliminabile nel medio-lungo periodo. In queste nazioni, infatti, le periodiche operazioni militari sferrate contro i Talebani ed Al Shabaab riescono a contenere la situazione e ad arginare conseguenze peggiori ma non sono di certo risolutive. Il seme del terrorismo tende a proliferare dove le condizioni di base lo consentono e le fortissime sacche di povertà localizzate nel Sahel costituiscono, probabilmente, un buon serbatoio per l’espansione delle attività dei gruppi radicali. La regione, come altre zone del mondo, dovrà probabilmente fare l’abitudine ad attentati e periodici scoppi di violenza che colpiranno le diverse aree con frequenza irregolare ed ovviamente imprevedibile e per questo ancora più pericolosa. Le forme di collaborazione locale, come la G-5 Sahel, potrebbero comunque rivelarsi utili ai diversi Stati per supportarsi congiuntamente e formare un fronte unico anche dal punto di vista politico ed arginare così gli attentati.