Il terrorismo bussa di nuovo alla porta dell’Europa. Venerdì scorso (29 novembre), poco prima delle 14:00, un giovane di 28 anni, cittadino britannico con origini kashmire, ha accoltellato a morte due persone e ne ha ferite altre tre nei pressi London Bridge.

Una scena già vista per il popolo britannico: due anni fa (4 giugno 2017), proprio sul London Bridge, un furgone ha investito una ventina di pedoni per poi schiantarsi sulla riva sud del Tamigi; poco dopo, i tre attentatori – simpatizzanti dello Stato islamico – hanno raggiunto il vicino Borough Market, sparando sulla folla e accoltellando almeno 7 persone.

Sono trascorsi due anni tra il primo e il secondo episodio; un periodo cruciale nella lotta contro il terrorismo jihadista, durante il quale si è assistito alla caduta del Califfato (marzo 2019) e all’uccisione di Abu Bakr Al-Baghdadi (ottobre 2019). Ma come dimostrato dagli eventi, il terrorismo non può essere considerato definitivamente sconfitto.

L’attentatore

A ventiquattro ore dall’attacco terroristico che ha sconvolto Londra, emergono nuovi dettagli sulla figura dell’attentatore. Usman Khan. Simpatizzante di Al-Qaeda, è stato arrestato per la prima volta nel 2010, per aver partecipato alla pianificazione di un attentato: una bomba nelle tubature idriche, nei pressi della Borsa di Londra.

Ma non è l’unica accusa: insieme ad altre otto persone, Khan stava raccogliendo denaro per fondare un “centro di addestramento militare per terroristi” in Kashmir; una struttura che sarebbe sorta in un terreno di proprietà della famiglia Khan. Il viaggio di sola andata per il Kashmir era previsto per il gennaio 2011.

Dopo un anno di custodia cautelare e dichiarandosi colpevole del fatto, nel 2012 Khan è stato condannato a una “pena indeterminata” per reati connessi al terrorismo. Il giudice competente ha definito il suo piano “un’impresa terroristica seria e a lungo termine”, descrivendo Khan come una “minaccia per la sicurezza pubblica, da non scarcerare”.

Nel 2013, il ricorso in appello: la pena viene fissata a 16 anni di carcere, più 5 di libertà vigilata. Ma così non è stato, e il giovane è stato rilasciato nel dicembre 2018 con la condizionale, dopo aver trascorso “soltanto” otto anni in carcere.

I programmi di de-radicalizzazione

Monta, quindi, la polemica in Gran Bretagna, su come sia stato possibile per un soggetto in libertà vigilata – con indosso il braccialetto elettronico e, quindi, costantemente monitorato dalla polizia – realizzare un attacco terroristico nel centro di Londra.

Ma c’è di più: già nel 2012, l’attentatore aveva fatto domanda per partecipare a un corso di de-radicalizzazione, volendo dimostrare di essere cambiato. “Vorrei partecipare a questo corso” – aveva dichiarato il giovane – “per provare alle autorità, alla mia famiglia e alla società che non ho più le stesse opinioni di prima del mio arresto. Allora ero immaturo, mentre ora sono molto più maturo e voglio vivere come un buon musulmano e un buon cittadino britannico”.

Parole al vento: proprio mentre stava frequentando un corso di questo genere – una conferenza organizzata dall’Università di Cambridge sulla riabilitazione dei criminali presso il Fishmongers’ Hall – Khan ha dato il via all’attacco terroristico.

Pur non essendo ancora chiaro se il giovane sia stato effettivamente inserito in un programma di de-radicalizzazione, la Gran Bretagna ha già sottoposto molti returnee dell’Is a due progetti di questo genere: “Prevent” – un programma di prevenzione della radicalizzazione – e “Channel” – mirato ad aiutare gli individui a rischio di radicalizzazione -.

Purtroppo, però, ancora oggi, questi programmi risultano molto lacunosi e gli effetti della loro efficacia ancora ignoti. Nel 2019, il programma “Prevent” è stato sottoposto a un processo di revisione indipendente, dopo essere stato definito “ingiusto, discriminatorio e contro produttivo” dalle comunità musulmane e dagli attivisti per i diritti umani.

L’incertezza in merito all’effettiva efficacia dei programmi di de-radicalizzazione è legata anche al fatto che alcuni attacchi terroristici nel Paese sono stati compiuti proprio da partecipanti al programma. È il caso, ad esempio, Ahmed Hassan, responsabile dell’esplosione su un treno della linea District alla stazione metropolitana di Parsons Green (settembre 2017).

Il tema della de-radicalizzazione, attraverso programmi ad hoc, rimane in primo piano non solo per la Gran Bretagna, ma per tutta l’Europa. La recente decisione della Turchia di rimpatriare forzatamente i foreign fighter europei che si trovano sotto la sua custodia non fa che renderlo più drammatico.