Al momento il coronavirus non ha rappresentato un viatico per interrompere la tensione nel Sahel e nell’Africa sub sahariana. Chi si aspettava una minore attività dei gruppi terroristici nell’area dopo l’esplosione della pandemia a livello globale, ha dovuto ricredersi: Stato Islamico ed Al Qaeda, al contrario, hanno continuato nelle loro azioni. Ed anzi, i gruppi jihadisti africani oggi più che mai sono apparsi molto attivi ed hanno ingaggiato vere e proprie battaglie con gli eserciti di molti Paesi della regione. Il pericolo legato alla presenza islamista in Africa dunque, è ancora più marcato.
“Il coronavirus è un soldato di Allah”
A giudicare da quanto trapelato dalla galassia jihadista, la comparsa del virus che sta bloccando tutte le potenze più importanti sta in questo momento dando maggior vigore all’azione dei gruppi terroristici. Così come riportato da AgenziaNova, nei giorni scorsi sono comparsi messaggi da parte dell’Isis che hanno inneggiato al virus. Addirittura, il nuovo coronavirus è stato descritto come un “soldato di Allah”, una vera e propria punizione divina contro l’occidente. E sono in tanti sui siti jihadisti, tra cui ad esempio Site, che in queste ultime settimane hanno inneggiato al virus vedendolo come segno di debolezza da parte dei Paesi occidentali.
Anche da parte dei gruppi legati ad Al Qaeda in Africa sono giunti messaggi di queste tenore: “Gli americani non sono affatto invincibili – si legge sempre sui siti vicini al mondo islamista – Questo virus lo sta dimostrando”. Il riferimento è alle attuali difficoltà degli Stati Uniti nel fronteggiare una curva epidemica che sta causando, nella sola New York, molte più vittime dell’11 settembre 2001, l’attentato organizzato da Osama Bin Laden.
La recrudescenza jihadista nel Sahel
Lago Ciad e Sahel occidentale nelle ultime settimane hanno visto un grave intensificarsi di attacchi ed azioni terroristiche, soprattutto nei confronti dei soldati degli eserciti che si affacciano su quest’area del continente nero. Il 24 marzo 92 militari ciadiani sono rimasti uccisi dopo un attacco jihadista contro una base militare, mentre 47 soldati nigeriani sono morti sempre a fine marzo per un’imboscata tesa nei pressi della città di Boma. Due stragi che hanno convinto i governi della regione ad avviare l’operazione “Collera di Boma“, la quale sta vedendo l’impiego degli eserciti di Nigeria, Ciad e Niger. L’obiettivo è quello di ridimensionare le cellule terroristiche operanti in quest’area. Gli occhi sono puntati soprattutto su Boko Haram, il gruppo dal 2015 affiliato all’Isis operante soprattutto in Nigeria. Ma negli ultimi mesi una sua costola, conosciuta con l’acronimo di Iswap (ossia Stato Islamico nell’Africa Occidentale), appare sempre più ramificata sul territorio e sempre più attiva.
Al momento, l’operazione lanciata dall’esercito nigeriano, ciadiano e nigerino avrebbe contribuito ad individuare diverse cellule operative delle organizzazioni jihadiste sopra citate. La situazione tuttavia è ben lontana dalla normalità: nuovi attacchi e nuovi attentati sono stati segnalati anche negli ultimi giorni, con almeno 52 militari ciadiani uccisi dai terroristi. Altra regione che, così come da diversi anni a questa parte, sta suscitando preoccupazione sul fronte della sicurezza è quella del Sahel occidentale. Niger, Burkina Faso e Mali, in particolare, hanno subito un’impennata nel numero degli attentati che, da queste parti, sempre più spesso hanno assunto il carattere di lotte inter etniche e confessionali. Qui ad agire è anche al Qaeda: particolarmente attivo è risultato, tra gli altri, il gruppo noto con l’acronimo di Aqim, ossia Al Qaeda nel Magreb Islamico. L’Operazione Barkhane, coordinata dai francesi e seguita dal cosiddetto G5 del Sahel, ossia gli eserciti di Mali, Mauritania, Burkina Faso, Ciad e Niger, ha come obiettivo quello di garantire la sicurezza della regione ma, al contrario, al momento l’obiettivo non appare alla portata.
Somalia e Mozambico
C’è poi un altro fronte importante nel continente nero, che riguarda il corno d’Africa e, in particolar modo, la Somalia. Qui ad agire maggiormente sono i miliziani di Al Shabaab, formalmente uniti ad Al Qaeda ma spesso molto autonomi sia sotto il profilo ideologico che operativo. Il coronavirus nei giorni scorsi ha costretto la missione dell’Unione africana nel paese (Amisom) a sospendere le operazioni, dopo che nella base militare di Halane è stato registrato un primo caso di contagio. Al Shabaab appare molto attiva, nello scorso dicembre in un solo attacco ha ucciso 79 persone presso la base militare di Manda Bay, in Kenya.
Situazione pericolosa anche in Mozambico, dove le locali cellule affiliate all’Isis appaiono sempre più attive. Lo scorso 23 marzo, un attacco nella località di Mocimboa ha provocato la morte di decine di agenti di Polizia e membri dell’esercito all’interno di una caserma. Su Amaq, la principale fonte di stampa dell’Isis, i terroristi hanno rivendicato l’assalto, parlando di diverse vittime e della possibilità nelle prossime settimane di estendere ulteriormente gli attacchi. In Mozambico il terrorismo ha iniziato a fare breccia soprattutto negli ultimi 3 anni e, nel silenzio quasi più totali, ha mietuto sempre più vittime.