Nuovi spargimenti di sangue hanno avuto luogo, nella giornata di domenica, in Burkina Faso. Ventinove persone hanno perso la vita in due diversi attentati che hanno colpito le aree rurali del Paese africano, nello specifico la provincia settentrionale di Samnatenga. Nell’area di Barsalogho un veicolo su cui viaggiavano uomini e merci ha impattato su un ordigno nascosto lungo la strada, provocando la morte di quindici passeggeri. Un convoglio che trasportava beni di prima necessità è stato invece colpito ad una distanza di 50 chilometri da dove era avvenuto il primo attentato: in questo caso i morti sono stati quattordici. Il 19 agosto, invece, ventiquattro soldati avevano perso la vita in un attacco compiuto presso la base militare di Koutougou, nella provincia settentrionale di Soum. Secondo alcune stime 499 persone sarebbero state uccise dagli estremisti islamici nel periodo compreso tra il novembre del 2018 ed il marzo del 2019.

Insurrezioni e violenze

Il Burkina Faso vive, da alcuni anni, una fase di instabilità sempre più accentuata e minacciosa. Il nord della nazione è colpito dall’insurrezione del gruppo islamista Ansarul Islam, la capitale Ouagadougou è stata oggetto di attentati terroristici da parte del Gruppo per il Supporto dell’Islam e dei Musulmani (Jnim) mentre anche nell’est si sono registrati attacchi. Le regioni settentrionali ed orientali non sono completamente sotto il controllo del governo centrale: in alcune aree i tribunali e le scuole hanno chiuso e le forze di polizia non eseguono pattugliamenti per timore di vendette.

Più in generali i sindaci, i consiglieri comunali e tutti i rappresentati dell’autorità sono possibili obiettivi.  Nel corso del 2019, inoltre, sono stati registrati assalti anche contro le chiese cristiane presenti nel Paese, uno sviluppo preoccupante vista la lunga tradizione di coesistenza pacifica tra le diverse comunità religiose nello Stato africano. Più di centomila persone sono state costrette ad abbandonare le proprie case per sottrarsi a questa lunga scia di sangue che minaccia l’integrità della nazione. Le motivazioni che spingono molte persone a scegliere di arruolarsi tra le fila degli islamisti non sono in realtà ideologiche ma spesso economiche: la grave povertà che colpisce il Burkina Faso, uno dei Paesi più poveri del mondo, toglie a tanti la possibilità di poter condurre una vita normale e la mancanza di prospettive genera disperazione, che viene così sfruttata dai terroristi. Gli arresti e le violenze nei confronti di chi è anche solo sospettato di aiutare i ribelli non contribuiscono inoltre a generare consensi e supporto per il governo.

Un problema più ampio

La difficile situazione del Burkina Faso non è un caso isolato nel Sahel. L’intera area è oggetto, ormai da anni, di insurrezioni islamiste o della penetrazione di gruppi di radicali che contribuiscono a destabilizzare una regione già molto fragile, a causa della strutturale e capillare presenza di enormi sacche di povertà. Nel solo 2018 almeno 10mila persone hanno perso la vita nell’area, un numero superiore a quello dei caduti in Siria ed Iraq nello stesso periodo di tempo e la portata già distruttiva della violenza di matrice religiosa rischia di tracimare in veri e propri scontri tra etnie diverse.

Il Mali continua a soffrire, sin dal 2012, le sanguinose violenze degli estremisti islamici, tra gli altri di gruppi terroristici come Ansar Dine, Ansar al-Sharia e la locale branca dello Stato Islamico. La nazione africana è stata, prima dell’intervento militare francese del 2013-2014 con l’Operation Serval, sul punto di crollare di fronte all’inarrestabile avanzata dei ribelli. Il Ciad invece ha risentito e continua a risentire delle attività di Boko Haram, ora affiliato allo Stato Islamico, nel nord della Nigeria. Anche il Niger è stato colpito da attentati e soffre la generale situazione di insicurezza che attraversa la regione, molto estesa dal punto di vista territoriale ma poco controllata dalle diverse forze di sicurezza governative.

Uno stato di cose che favorisce l’insediamento e la proliferazione di gruppi ribelli. La G5 Sahel, un’organizzazione regionale formata nel 2014 da Mali, Ciad, Niger, Burkina Faso e Mauritania, ha avuto e continua ad avere tra i suoi scopi quello del contrasto al terrorismo islamista. A questo scopo è stata creata, nel 2017, una Joint Force che ha l’obiettivo, tra gli altri, di rafforzare la sicurezza nel Sahel. L’intervento ed il supporto della comunità internazionale restano  comunque fondamentali nel contenimento e nella gestione del terrorismo nella regione: i governi locali, seppur dotati almeno sulla carta di buona volontà, non hanno probabilmente i mezzi necessari per affrontare il problema alla radice. Le violenze nella regione non vanno comunque sottovalutate: dopo la sconfitta, seppur non definitiva, in Siria ed Iraq il radicalismo islamico è alla ricerca di nuovi fronti di guerra e di nuove basi territoriali.





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