È il 7 ottobre 2001, è una domenica sera: dall’11 settembre e dall’attacco alle Torri Gemelle è passato meno di un mese, i network di tutto il mondo rilanciano le immagini delle prime esplosioni udite a Kabul in quella che sembra l’inizio di un conflitto lampo, volto a far crollare il governo dei Talebani dall’Afghanistan. Si tratta della prima conseguenza diretta degli attacchi a New York e Washington. Già da giorni gli Usa vedono in Osama Bin Laden e nella sua organizzazione Al Qaeda i responsabili degli attentati. Lui, Bin Laden, si nasconde proprio in Afghanistan protetto dai Talebani. Due sono quindi i nemici giurati in quella campagna militare: il terrorista saudita fondatore di Al Qaeda ed il Mullah Omar, leader dei Talebani. Da allora sono passati 17 anni, chi è nato in quella domenica sera di ottobre oggi si avvia a diventare maggiorenne e la guerra non è ancora finita. Per di più, i Talebani sembrano più forti di prima.
I Talebani controllano più del 50% del territorio afghano
Dopo poco più di un mese dall’inizio dei bombardamenti Usa su Kabul, la capitale cade di fronte alle avanzate dell’Alleanza del Nord, ossia il raggruppamento di fazioni che dal 1996 si oppongono ai Talebani. Sembra la fine della loro storia di breve dominio sull’Afghanistan. Ed invece è soltanto l’inizio. Vengono piazzate dagli americani istituzioni provvisorie, vengono tirati fuori dai cassetti nomi e volti degli anni ’80 e ’90 pescando tra i più moderati all’epoca della contrapposizione all’invasione sovietica. Si punta soprattutto su Hamid Karzai, primo presidente eletto della storia afghana. Dopo un interim da lui guidato, nel 2004 vince le elezioni presidenziali ed il suo insediamento è un grande spot per Bush senior che si prepara al voto di novembre di quell’anno: a Kabul vola il suo vice Dick Cheney per presentare al mondo il “nuovo e democratico” Afghanistan. Tutta un’immensa sceneggiata. Proprio in quel periodo i Talebani rialzano la testa ed attuano una guerriglia che non fa sconti a nessuno. Nel paese vi sono numerosi contingenti internazionali inquadrati nella missione Nato denominata Isaf. C’è anche l’Italia che con i suoi soldati è stanziata ad Herat. E nel cuore di quelle vallate, muoiono anche tanti nostri soldati vittime di imboscate talebane.
Il vero Afghanistan è quello fragile ed instabile dove si continua a combattere, sia nelle regioni più impervie che quelle attorno alle grandi città. Karzai ad un certo punto viene definito, ironicamente, il “sindaco di Kabul”. La sua giurisdizione non va oltre la capitale ed anche all’interno della più importante città del paese in realtà non mancano problemi di sicurezza ed instabilità. La missione Isaf termina solo nel 2015, ma la presenza di militare Usa e di altri paesi rimane ancora oggi. La guerra c’è, l’esercito locale negli anni viene finanziato ed addestrato spendendo miliardi di Dollari, ma tutto questo non funziona. Oggi i Talebani controllano gran parte delle zone rurali dell’Afghanistan, più della metà della popolazione vive in territori occupati dagli studenti coranici. E questo per gli stessi afghani non sembra costituire un problema.
Il radicamento sociale e territoriale dei Talebani
Il gruppo fondamentalista nasce negli anni ’80, viene inquadrato tra le tante milizie che combattono contro la presenza sovietica. Ma è all’inizio degli anni ’90 che i Talebani iniziano a distinguesi dagli altri gruppi. C’è una guida carismatica, quella del Mullah Omar, così come un’ideologia che predica l’estremismo islamico e che ha come obiettivo quello della costituzione di un vero e proprio califfato. Ma ci sono delle differenze rispetto sia ad Al Qaeda che all’Isis. I Talebani non vogliono una guerra globale ed inoltre appaiono forza di governo in grado di controllare i territori come un vero e proprio Stato. Sotto questo aspetto, si presenta del tutto differente dall’Isis, che invece nel giro di pochi anni perde il suo territorio e si dimostra incapace di amministrare le zone conquistate tra Siria ed Iraq. I Talebani dimostrano conoscenza del territorio e radicamento sociale. Riescono, in diverse zone, a governare grazie anche ad un’importante attenzione al contesto sociale. Come si legge in un recente rapporto della Foundation for defence of democracies, i Talebani ad esempio non interferiscono nei servizi prestati dalle Ong nei territori sotto il loro controllo, a differenza invece del governo di Kabul. Gli estremisti dunque qui riescono a guadagnarsi il consenso della popolazione.
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Oggi i dati sulla situazione afghana, diffusi proprio dal rapporto sopra citato, piombano a gamba tesa sul dibattito in corso negli Usa. Donald Trump infatti, dopo aver annunciato il ritiro degli americani dalla Siria, adesso pensa a ridimensionare la presenza statunitense in Afghanistan. E si aprono accese discussioni tra i sostenitori ed i detrattori della linea del presidente Usa. Partendo dalla constatazione che i Talebani in questi anni non vengono sconfitti, c’è chi dice di aumentare il contingente Usa e chi invece di riturare tutti i soldati evitando altre inutili perdite. Già, adesso anche negli Stati Uniti si parla di possibili inutili perdite: ben si comprende come sconfiggere i Talebani sia impossibile. Il loro radicamento sociale e territoriale fa sì che sia impossibile di fatto fare a meno di loro nei futuri sviluppi del dossier afghano. E già alcuni contatti tra Usa, governo di Kabul e talebani risultano esserci.
A distanza di 17 anni da quella domenica sera di ottobre, Osama Bin Laden è morto ed il Mullah Omar risulta deceduto a seguito di circostanze naturali senza essere acciuffato. Ma Al Qaeda ed i Talebani sono ancora lì, al punto di partenza. E la guerra sembra, nonostante tutto, proseguire.