Lunedì scorso, il presidente turco Recep Tayyip Erdogan è arrivato a Doha in visita ufficiale per incontrare l’emiro Tamim bin Hamad al-Thani e discutere di questioni regionali e relazioni bilaterali tra Turchia e Qatar. I due Paesi condividono una solida alleanza legata a una serie di posizioni politiche nell’area: sulla questione siriana, sul sostegno ideologico e politico ai Fratelli musulmani, sul contrasto a Israele e al governo egiziano guidato da Abdel Fattah al-Sisi, accusato dagli islamisti di aver rovesciato il governo filo-fratellanza di Mohamed Morsi, ma anche sul sostegno in Libia all’esercito guidato da Fayez al-Sarraj, a sua volta supportato da diverse milizie islamiste legate alla fratellanza.

Le relazioni economiche tra Ankara e Doha si sono ulteriormente rafforzate dopo la crisi del Golfo del 2017, in seguito all’isolamento perpetrato a danno del Qatar da Arabia Saudita, Emirati Arabi, Egitto e Bahrein, con l’accusa di sostenere i jihadisti in Siria e gli islamisti radicali legati alla Fratellanza. Non a caso fu proprio l’emiro del Qatar a chiamare Erdogan per esprimere il proprio sostegno dopo il fallito golpe del 2016. Il Qatar ha inoltre sostenuto le operazioni militari turche perpetrate in Siria contro le milizie curde. In cambio Ankara ha ampiamente sostenuto il Qatar con aiuti di ogni genere in seguito all’isolamento del 2017.

I rapporti economici tra Turchia e Qatar

Secondo quanto emerso dai dati del Turkish Statistics Institute, le esportazioni turche in Qatar sono incrementate del 69% tra il 2017 e il 2018, con un passaggio da 650 milioni di dollari a 1,1 bilioni di dollari. Le esportazioni qatariote in Turchia risultano invece passate da 264 milioni a 335 milioni dal 2017 al 2018. Il presidente della Camera di Commercio turca, Ayham Zeytinoglu, ha inoltre reso noto che le aziende turche hanno attività in Qatar per il valore di 17 bilioni, mentre il valore degli investimenti qatarioti in Turchia sarebbe di ben 22 bilioni. Cifre che sono tra l’altro in crescita in vista dei mondiali di calcio che si terranno in Qatar nel 2022.

Insomma, l’asse tra Ankara e Doha appare solido e multi-dimensionale in quanto alimentato non soltanto da ragioni economiche e politico-strategiche, ma anche dal punto di vista ideologico, con chiari tratti filo-islamisti. Se Erdogan e il partito Akp sono infatti chiara espressione ideologica dei Fratelli musulmani, il leader spirituale della Fratellanza, Yousef Qaradawi, pontificava da Doha utilizzando anche gli schermi di Al Jazeera e fu proprio lui a invocare il jihad in Siria contro Bahar al Assad e la “resistenza” contro Al-Sisi in Egitto.

Il problema Qatar, i rapporti con l’Italia e le ripercussioni libiche

Il Qatar resta inoltre un grande finanziatore di tutto quel filone islamista radicale legato alla Fratellanza e in espansione pure in Europa, come illustrato nel libro “Qatar Papers”, dove viene tra l’altro evidenziato come l’Italia sia il Paese in cui la Qatar Charity abbia speso di più, con progetti in svariate realtà su tutto il territorio.

Del resto gli stessi rapporti economici tra Italia e Qatar risultano ampiamente in crescita, con un export italiano verso Doha che è passato da 931.082 milioni del 2017 agli 1.093,26 milioni del 2018. Da notare inoltre l’incremento dagli 582,03 milioni tra gennaio e luglio del 2018 agli 832,16 milioni del periodo luglio-dicembre del medesimo anno. Del resto i rispettivi incontri tra il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte e l’emiro Tamim Bin Hamad al-Thani, rispettivamente a Roma nel novembre del 2018 e nell’aprile del 2019 parlano chiaro.

I solidi rapporti tra Italia e Qatar si manifestano in qualche modo anche nella politica estera in Libia, dove Roma appare allineata con Qatar e Turchia al fianco del Gna di Tripoli guidato da al-Sarraj, a sua volta sostenuto da diversi gruppi islamisti legati anche ai Fratelli musulmani. Non a caso lo scorso 1° luglio fu proprio Al-Sarraj a fare una visita a sorpresa all’allora ministro dell’Interno, Matteo Salvini, per chiedere maggiore sostegno contro Haftar.

Nonostante l’esecutivo italiano abbia in più occasioni affermato di essere “super partes”, Roma è risultata fin da subito più vicina ad Al-Serraj che ad Haftar, e per ovvi interessi: dalla protezione del gasdotto Greenstream e la costruzione dell’aeroporto di Tripoli, al controllo dei flussi migratori; bisogna però vedere a quale prezzo si porta avanti tale strategia, nonché se tale linea sia è vincente sul lungo periodo, come già esposto lo scorso giugno.

I grandi rischi di un sostegno ad al-Serraj e al Gna

È plausibile voler trovare una pacificazione in Libia cercando di sdoganare tali milizie e fornendo loro una piattaforma politica dalla quale operare? Difficile crederlo, perché implicherebbe la legittimazione politica di gruppi islamisti radicali. Basta ricordare che a fine maggio, durante gli scontri tra le milizie di al-Sarraj e le forze del generale Haftar, veniva ucciso Mohammed Mahmoud Ben Dardaf, terrorista ricercato dal governo della Libia orientale per l’assalto al consolato statunitense di Bengasi, avvenuto tra l’11 e il 12 settembre 2012, nel quale rimaneva ucciso l’ambasciatore Chris Stevens. Il jihadista era impegnato nelle forze fedeli ad al-Sarraj, nelle file della brigata Somoud e veniva centrato, a bordo di un mezzo blindato, da un missile anticarro “Kornet” di fabbricazione russa. Il gruppo jihadista “Ansar al-Sharia” aveva successivamente pubblicato messaggi di cordoglio per la morte di Ben Dardaf attraverso alcuni profili social.

È inoltre in corso la vicenda legata all’ordine di arresto emanato dal Gna nei confronti di Imad Faraj Mansour al-Shogabi, accusato di essere un pericoloso terrorista collegato ad Ansar al-Sharia e Isis.

Shogabi, risulta però oggi impegnato al fronte contro Haftar con i gruppi armati dello stesso ministero che ne ordina la cattura e secondo fonti in loco sarebbe in possesso di un passaporto speciale (o diplomatico) rilasciato dal ministero degli Esteri del Gna, in quanto consulente della Libyan Investment Autorithy (Lia). Al-Shogabi ha replicato accusando Tripoli di essere stato tirato in ballo ingiustamente e mostrando documenti compromettenti del ministero dell’Interno del Gna che, tra il 13 maggio 2019 e il 3 novembre 2019, avrebbe trasferito 570 milioni all’azienda bellica che rifornisce l’esercito turco, la Sstek. Gli acquisti di armi sarebbero stati autorizzati dal capo dell’Audit Bureau, Khaled Shakshak, noto esponente della Fratellanza musulmana libica.

Insomma, se il conflitto libico appare sempre di più come un gran pantano con numerosi attori esterni coinvolti, il sostegno al Gna di al-Sarraj diventa sempre più rischioso in quanto Tripoli non gode del sostegno di un vero e proprio esercito, nessuna forza compatta, ma piuttosto una galassia di milizie di diversa estrazione (islamisti legati alla Fratellanza, salafiti, signori della guerra, ex membri dell’esercito libico, rivoluzionari ecc.) tenuti insieme prettamente da interessi particolari di tipo politico ed economico-finanziario.

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