Dall’Indonesia al Bangladesh, dall’India alle Filippine passando per il Pakistan, probabilmente l’epicentro del rinnovato, pericoloso fenomeno che stiamo per raccontare. L’estremismo islamico minaccia l’Asia, lo fa da vicino e rischia di far saltare in aria equilibri polito-sociali fragilissimi. Sia chiaro, non stiamo parlando di una nuova tendenza, quanto piuttosto di un ritorno di fiamma agevolato da diversi fattori. L’elenco sarebbe piuttosto lungo ma, per ragioni di tempo, ci limitiamo a citare i principali: la crisi economica, aggravata dalla pandemia di Covid, la presenza di sistemi politici corrotti e inefficienti, e la storica frammentazione presente in alcuni Paesi che cova sotto le ceneri di un’apparente stabilità.

A rimetterci, oltre ai governi in carica, le minoranze religiose presenti nel continente asiatico, tra cui quella cristiana, sempre più spesso nell’occhio del ciclone. Cerchiamo di fare il punto della situazione, analizzando le aree più critiche. Le cronache hanno fatto emergere un Pakistan a tinte fosche per i pochissimi cristiani che vivono a Islamabad e dintorni. Si parla di qualcosa come circa l’1,5% di una popolazione formata da 210 milioni di abitanti, tutti di fede musulmana. Qui, tra rapimenti di giovani donne cristiane, conversioni forzate, soprusi, stupri e rapimenti, la situazione per i cristiani è sempre più invivibile. Poco distante, in India, la situazione è leggermente migliore ma i rischi sono comunque elevati; anche perché la minoranza cristiana non deve solo fare i conti con i fanatici islamici ma anche (e soprattutto) con gli indù ultra nazionalisti.

Un serbatoio pericoloso

In Asia, il jihadismo salafita è riuscito a penetrare nei vuoti lasciati da esecutivi a dir poco traballanti e scricchiolanti. È così che sono apparse (o, talvolta, tornate dall’ombra) vecchie e nuove correnti legate ad al Qaeda e all’Isis. C’è un dato da considerare con estrema attenzione: alle spalle di Medio Oriente e Africa settentrionale, la regione più colpita al mondo dal terrorismo jihadista è quella asiatica. L’Asia balza tuttavia in cima al podio se consideriamo l’intera area pacifica. Prendiamo le Filippine, dilaniate dalla piaga islamica nella loro parte meridionale, ma anche Thailandia, Malesia, Bangladesh o Sri Lanka: il copione non cambia e l’ombra dei terroristi islamici è sempre più grande.

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La globalizzazione ha dato nuova verve a estremismi che si sono ben saldati a istanze indipendentiste e politiche. Di conseguenza, ci sono interi territori presto divenuti veri e propri serbatoi di terrorismo (basti pensare all’Afghanistan, allo stesso Pakistan o alle Filippine meridionali). I movimenti islamici più estremi presenti in Africa e Medio Oriente, grazie a narrazioni grondanti di rivendicazione e promesse di rinascita, riescono ad attirare moltissimi giovani asiatici, spesso poveri, non istruiti e disoccupati.

Il caso delle Filippine

Abbiamo più volte citato le Filippine. Stiamo parlando dello Stato con il numero più alto di cattolici dell’intero continente asiatico, che pure ospita una delle più ostiche minoranze islamiche esistenti in Oriente. La zona rossa è situata a cavallo tra Mindanao, un’isoletta collocata nella parte meridionale del Paese famosa per essere stata il “trampolino di lancio” del presidente filippino Rodrigo Duterte (è stato sindaco del capoluogo Mindanao), e Marawi, una città collocata all’interno della stessa regione di Mindanao. Il problema islamico, presente da decenni, si è aggravato nel 2014, quando prendono vita gruppi jihadisti salafiti come Abu Sayyaf, Ansar al Khilafa e Bangsamoro freedom fighters; in un primo momento, sono tutti affiliati ad al Qaeda, quindi sposano la causa dell’Isis.

Impossibile, procedendo nella narrazione, non ricordare la famigerata “battaglia di Marawi“: in seguito all’attacco sferrato nel maggio 2017 da una coalizione jihadista all’indirizzo di Marawi, una cittadina di 175mila abitanti occupata dai terroristi, le forze di sicurezza del governo filippino hanno reagito con il pugno durissimo. Dopo cinque mesi la città, nel frattempo essa a ferro e fuoco, è stata liberata dai fanatici islamici. In quell’occasione, i jihadisti bruciarono la cattedrale di Santa Maria, la scuola Ninoy Aquino e il Dansalan College, entrambi gestiti dalla Chiesa unita di Cristo nelle Filippine (Uccp) e presero in ostaggio preti e fedeli.





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