“Bisogna istituire un Tribunale Internazionale nel nord della Siria per processare e condannare i criminali dell’Isis! Non possiamo permettere a questi jihadisti di farla franca!” è il grido di allarme di Anwar Muslim, sindaco di Kobane, la cittadina curdo-siriana simbolo della resistenza alle bandiere nere, davanti alla platea del “Forum internazionale sull’Isis” tenuto il 6 giugno a Qamishli, capoluogo della regione autonoma de facto nella Siria nord orientale.
In un documento visto in anteprima da Inside Over, le autorità curdo siriane delineano la loro strategia per l’istituzione di un Tribunale Internazionale sul proprio territorio rivolgendosi prevalentemente a tutte quelle nazioni che hanno concittadini detenuti nei campi di prigionia curdi in quanto considerati foreign fighters.
La situazione delle carceri curde
Le carceri curde straripano: nel gennaio 2019, all’interno dei campi di detenzione curdi vi erano solo 1500 prigionieri, mentre dopo la sconfitta territoriale dell’Isis a Baghouz nel marzo 2019, i campi di detenzione videro arrivare in pochi giorni 11mila jihadisti con 72mila tra donne e bambini da 54 Paesi differenti. Ad esempio, il campo di Hol è stato realizzato per circa 20mila persone mentre ora accoglie più del triplo della sua capacità.
I costi delle prigioni sono esorbitanti e le autorità non sono più in grado di sostenerle. Secondo il documento, il costo giornaliero si aggirerebbe intorno ai 700mila dollari (circa 620mila euro) per un costo annuale di 250 milioni di dollari (225 milioni di euro).
Il problema dei rimpatri
L’inviato speciale delle Nazioni Unite ha descritto le condizioni delle persone detenute nelle carceri come “disperate” ed “inumane” richiedendo alla comunità internazionale di prendersi le proprie responsabilità. La richiesta del Presidente degli Stati Uniti Donald Trump a tutti gli Stati di origine delle migliaia di foreign fighters, di rimpatriarli il prima possibile, non ha sortito gli effetti desiderati. Nonostante alcuni Paesi europei abbiano incominciato lentamente a rimpatriare alcune delle mogli dei jihadisti e gli orfani dell’Isis, la grande maggioranza dei foreign fighters rimane sotto custodia dei curdi. Gli apparati di sicurezza europei considerano che il rimpatrio di pericolosi jihadisti addestrati in Iraq e Siria possa porre una minaccia rilevante alla sicurezza nazionale. I governi temono che le leggi nazionali non siano adeguate a perseguire i crimini perpetrati dai jihadisti e vi possano essere delle difficoltà tecniche nella raccolta delle prove di colpevolezza (Il Procuratore generale della Germania ha anche affermato che i tribunali tedeschi hanno delle carenze di organico e ciò complicherebbe lo svolgimento dei processi).
Il Tribunale Internazionale nel nord della Siria
In questa situazione di stallo, per uscire dall’impasse politico e organizzativo, le autorità curde lanciano la loro proposta: una Norimberga dell’Isis su territorio controllato dai curdi e cofinanziato dalla comunità internazionale risolvendo nello stesso momento il problema dei rimpatri, la raccolta delle testimonianze e delle prove di colpevolezza e riuscendo ad evitare ulteriori ritardi nell’inizio dei processi. Un Tribunale gestito dai curdi potrebbe anche ovviare il problema iracheno: le autorità di Baghdad si sono proposte di ospitare il Tribunale ma, secondo la giurisdizione irachena per i reati quali terrorismo, vige la pena capitale. Nella regione autonoma curda invece la pena di morte è stata abolita secondo i principi sanciti nel “Contratto sociale del Rojava” approvato nel 2014.
Ostacoli alla proposta curda potrebbero venire dalla Repubblica araba siriana e dalla Russia, sua alleata all’interno del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Un’eventuale Tribunale gestito dai curdi potrebbe essere inteso come un primo riconoscimento internazionale della regione autonoma con la quale Damasco sta intrattenendo delle negoziazioni diplomatiche per trovare un accordo per il controllo del territorio che non preveda l’uso delle armi. Un altro impedimento verrebbe sicuramente da Ankara: Erdogan non potrebbe permettere mai ai curdi di ricoprire un ruolo così importante a livello internazionale. Gli Stati Uniti, per voce dell’ambasciatore speciale per la Siria James Jeffrey, ha dichiarato che Washington non sta considerando al momento nessuna ipotesi di un Tribunale internazionale.
Soluzione europea?
Apparentemente sono proprio gli Stati europei che potrebbero supportare l’idea lanciata dai curdi. Austria, Belgio, Finlandia, Francia, Germania, Danimarca, Paesi Bassi e Svezia sembrano gli stati più entusiasti e attraverso incontri bilaterali e conferenze programmatiche, stanno cercando anche di convincere gli altri partner UE. I curdi sperano in un’iniziativa europea per poter risolvere il problema e ricevere così degli aiuti finanziari che potrebbero aiutarli anche a risollevare le loro situazione economica.