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I cartelli della droga messicani colpiscono ancora e stavolta a poche miglia dal territorio statunitense. Un bilancio che ricorda zone di guerra come la Siria, la Libia o la Somalia degli anni ’90, invece si tratta del Messico, di una piccola cittadina ad appena 35 miglia dal confine con gli Usa che si è trovata ad essere teatro di uno scontro armato con bilancio finale di 23 morti e 6 feriti.

Tutto ha avuto inizio sabato mattina quando un gruppo di membri pesantemente armati del Cartello del Nord-Est (Cdn) hanno attaccato, a bordo di alcuni mezzi, siti governativi nella cittadina di Villa Union (3000 abitanti), prendendo di mira anche il municipio e crivellando di colpi la facciata dell’edificio. L’assalto, in stile militare, ha obbligato le forze federali ad intervenire e ne è nata una battaglia andata avanti per più di un’ora, con un bilancio di diciassette narcos uccisi, quattro agenti delle forze di sicurezza e due civili.

Le ragioni dell’assalto sono ancora poco chiare, considerato che lo Stato di Coahuila, seppur con una nota storia di violenza, non è ai livelli di altre zone infestate dai cartelli della droga, come Sinaloa o Tamaulipas.

In ogni caso è probabile che l’attacco messo in atto dal Cdn sia legato alle dispute per il controllo delle rotte del narcotraffico nella zona di confine tra Messico e Usa. Lo scorso 4 novembre un gruppo armato di narcos aveva assalito un veicolo sul quale viaggiavano tre donne e sei minori, tutti cittadini statunitensi di origine messicana, appartenenti a una comunità di mormoni e tutti e nove rimasti uccisi. Il fatto di sangue è avvenuto nello stato di Sonora, a circa 70 miglia dal confine con gli Stati Uniti. Secondo alcuni analisti, il veicolo sul quale viaggiavano le vittime potrebbe essere stato scambiato per appartenente a un cartello rivale.

In ottobre era invece il Cartello di Sinaloa a mettere in atto una spettacolare operazione che obbligava il governo federale a rilasciare il figlio, appena arrestato, del “Chapo” Guzman e a ritirare i propri uomini, sopraffatti per le strade di Culiacan; un episodio denominato “fiasco di Culiacan”.

Il fiasco di Culiacan

Lo scorso 17 ottobre a Culiacan, capitale dello Stato di Sinaloa, dilagava una feroce battaglia nel momento in cui le forze di sicurezza procedevano con l’arresto di Ovidio Guzman Lopez, figlio del boss della droga “Chapo” Guzman, attualmente detenuto negli Usa, con un bilancio di 13 morti, inclusi 7 membri del cartello e un agente delle forze federali.

Lo scorso febbraio Ovidio Guzman (28) e suo fratello Joaquin (34) sono entrambi stati incriminati dal Dipartimento di Giustizia statunitense con l’accusa di traffico di droga e sono attualmente ricercati per essere estradati negli Usa. I due vengono indicati da Washington come leader di una fazione del famigerato Cartello di Sinaloa e responsabili dell’esportazione di droga negli Usa.

Durante la battaglia, durata diverse ore, i narcos hanno sparato indiscriminatamente con fucili da assalto, hanno lanciato granate, incendiato veicoli, bloccato strade e obbligato i cittadini a fuggire per cercare riparo. Nel momento in cui le forze di sicurezza messicane sono risultate in minoranza rispetto agli assalitori, è arrivato l’ordine di rilasciare Ovidio Guzman e di ritirarsi. Alcune delle scene degli scontri sono state riprese in video.

Il neo-eletto presidente messicano, Andres Manuel Lopez Obrador, membro del partito di sinistra “Morena”, ha difeso la decisione del Gabinetto per la Sicurezza di sospendere le operazioni e di rilasciare il leader dei narcos con l’obiettivo di salvare vite: “L’arresto di un criminale non può valere più della vita delle persone…Numerosi cittadini, persone, esseri umani, erano in pericolo” ha affermato Obrador durante una conferenza stampa a Oaxaca.

Al di là di tutto, il “fiasco” di Culiacan ha portato a una serie di quesiti sulle dinamiche strategiche e operative su cui è bene ponderare. In primis, com’è possibile che le forze di sicurezza messicane non si aspettassero una risposta così massiccia e furiosa in risposta all’arresto di Ovidio Guzman, in una zona considerata roccaforte del Cartello? In secondo luogo, per quale motivo le forze di sicurezza hanno deciso di dare il via all’operazione in pieno giorno, cercando di arrestare il boss in una zona urbana ad alta concentrazione di traffico, bar, ristoranti, negozi e alberghi? L’operazione è stata adeguatamente pianificata, con il dovuto anticipo o è il risultato di un’azione pseudo-improvvisata con pianificazione molto limitata?

Il presidente messicano Obrador ha ragione quando afferma che salvare vite umane è più importante che “arrestare un criminale”, è però altrettanto vero che operazioni così complesse e delicate non dovrebbero certo essere messe in atto in zone densamente popolate e in pieno giorno; aspetti che le forze di sicurezza messicane e il Gabinetto per la Sicurezza avrebbero dovuto conoscere bene.

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