Il controllo dei flussi migratori è considerato, ad oggi, uno dei principali obiettivi della politica estera degli Stati europei. E per farlo, gli Stati dell’Unione europea, sia singolarmente che come organizzazione, hanno iniziato a impiegare non solo le loro armi politiche, ma anche quelle delle loro forze armate. L’Africa, negli anni, è diventata un crocevia di impegni militari. Operazioni di diversi livelli, da nazionali a internazionali, caratterizzano tutta la fascia sahariana e sub-sahariana. E non c’è Paese europeo che non abbia come interesse primario quello di intervenire nel continente africano per controllare o interrompere i flussi migratori.
La campagna contro l’immigrazione di massa sembra essere diventata quella che, fino ai primi anni del Duemila, è stata la guerra al terrorismo internazionale. Dopo l’attacco alle Torri Gemelle del 2001, gli Stati occidentali sono stati coinvolti nella guerra contro il terrore, inviando uomini e mezzi non solo in Asia centrale e Medio oriente, ma anche in Africa. Gli Stati Uniti, con Africom, sono coinvolti da anni nel colpire Libia, Somalia e diverse postazioni terroristiche negli Stati del Sahel. Ma se per gli Usa è stato importante il terrorismo come volano per il loro impegno militare in Africa, per altri Paesi la questione è diversa. E per l’Europa, il nodo immigrazione pesa sulle scelte di politica internazionale anche più del pericolo del terrorismo.
Ecco quindi che se per alcune potenze è il contrasto al terrore (soprattutto di matrice islamista) la chiave per spiegare l’intervento militare in vaste aree del modo, dal Medio Oriente all’Africa occidentale, per i Paesi europei sono le migrazioni di massa a essere essenziali per giustificare un intervento militare in aree apparentemente distanti.
L’Italia, in questo senso, è un esempio perfetto. Il nostro intervento al fianco delle forze occidentali nella lotta al terrorismo, soprattutto dopo il 2001, si è gradualmente trasformato in un supporto esterno. Mentre adesso, il vero obiettivo della politica estera di Roma non è più il terrore, ma fermare i flussi migratori che dall’Africa giungono sulle coste italiane passando per la Libia.
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L’esempio della missione militare in Niger è cristallino: l’obiettivo principale dei nostri soldati sarà quello di supportare le forze nigerine nel contrasto al traffico di migranti che giungono in Italia attraverso i trafficanti libici. Il Niger è considerato il cuore del problema: ed è lì che l’Italia va ad intervenire.
Se l’immigrazione è il problema: è chiaro che con essa si intrecciano questioni d natura strategica di particolare rilevanza. Come per il terrorismo, e il suo contrasto, sconfiggere che è responsabile del traffico di uomini aiuta i Paesi europei a risolvere uno dei grandi problemi del nostro tempo.
Ma anche possedere le chiavi del controllo dell’immigrazione è, a sua volta, un obiettivo di natura strategica. Perché controllare i flussi non significa solo bloccarli, ma significa anche o modificare le rotte oppure entrare nella politica di un Paese costruendo una partnership sempre maggiore. E così, il sostegno al contrasto al terrorismo, logica con cui si è deciso di intervenire in Paesi mediorientali africani, oggi è sostituto gradualmente dalla lotta al traffico di esseri umani.
Ma gli obiettivi, o comunque i risultati, non sono del tutto differenti. In Niger, come in Libia, la lotta al traffico illegale di persone e il blocco al’immigrazione clandestina è di fatto una priorità strategica per i governi europei. Ma è anche uno strumento per aumentare la presenza militare in regioni non controllate o controllate da Paesi rivali. La sfida fra Italia e Francia per possedere il controllo di quelle rotte migratorie di fatto si è trasformata in una sfida politica per l’influenza su quel governo e i governi futuri. La Francia parte avvantaggiata: ma l’Italia ha lanciato il guanto di sfida per evitare che sia solo Parigi a detenere le chiavi di un Paese da cui nasce il flusso che poi giunge in Libia.
È difficile capire se l’immigrazione sia la causa o l’obiettivo di queste missioni. Ma è chiaro che siamo di fronte a una sfida mondiale come lo è stato e continua a essere il terrorismo. Anche in questo caso si parla di interventi miliari, di accordi fra paesi, di leadership e di blocchi. E, come per il terrorismo, ci sono Stati che decidono di assumere il controllo di queste nuove missioni spartendosi concretamente le proprie sfere d’influenza.