L’Isis non è stato sconfitto e il terrorismo non è da considerare come un tema marginale nella agende politiche. Lo si è detto chiaramente a Roma lo scorso 28 giugno, dove si è aperta la conferenza della coalizione internazionale che lotta contro i seguaci dello Stato Islamico. Negli ultimi mesi contrassegnati dalla pandemia, a livello mediatico la jihad è passata in secondo piano. Anche se non sono mancati episodi violenti come quello di Nizza dello scorso ottobre o come l’attentato compiuto a Vienna il 2 novembre 2020. Gesti isolati, secondo le indagini, che però testimoniano come il terrorismo sia costantemente pronto a colpire ed a ridare chiari e inquietanti segnali di vita.

La nuova vera frontiera del terrorismo: l’Africa

A Roma erano presenti quasi 100 delegazioni internazionali, molte delle quali capitanate dai rispettivi ministri degli Esteri. Oltre ai rappresentanti diplomatici degli 83 Paesi facenti parte della coalizione anti Isis, l’invito è stato esteso anche ai ministri di Burkina Faso, Ghana e Mozambico. Una scelta non casuale spiegata dal “padrone di casa” Luigi Di Maio: “A conferma della preoccupazione che desta l’espansione di Daesh in Africa, abbiamo accolto alla Ministeriale alcuni Paesi africani non membri della Coalizione – ha dichiarato il ministro degli Esteri italiano – quali Burkina Faso, Ghana e Mozambico, invitati in veste di osservatori”. Nel Sahel in particolar modo la causa jihadista fa sempre più proseliti. Questo nonostante una presenza di truppe internazionali datata quasi un decennio. La Francia nei giorni scorsi ha ufficializzato la fine dell’operazione Barkhane in Mali, segno di una situazione difficile da sostenere per Parigi. Proseguiranno invece le altre missioni, a partire da quella denominata Takuba sempre in Mali ma con la presenza di altri contingenti tra cui quello italiano.

Il problema però è che oramai la regione è diventata nuovo vero baricentro del terrorismo islamista. É qui che ha sede il gruppo dello Stato Islamico del Gran Sahara, guidato da Adnan Abu Walid al-Sahrawi. Una sigla che lo stesso Abu Bakr Al Baghdadi, in uno dei suoi ultimi messaggi audio prima di essere ucciso da un raid Usa nell’ottobre 2019, ha indicato quale riferimento per la galassia jihadista. Oltre ai gruppi legati all’Isis, sono attive da anni anche le fazioni vicine ad Al Qaeda. Si tratta di formazioni che negli ultimi giorni hanno seminato il terrore in Burkina Faso e in Niger e che hanno le proprie basi principali in Mali. Più a sud invece, è Boko Haram in Nigeria a preoccupare maggiormente nonostante la recente uccisione del leader Abubakar Shekau, avvenuta per mano di gruppi rivali legati all’Isis. In Mozambico invece la follia jihadista ha preso piede negli ultimi anni con il terrorismo che rischia di dilagare anche nei Paesi vicini, raggiungendo così la fascia africana a sud dell’Equatore.

L’Isis tra Iraq e Siria

Il vero problema per l’Europa è lo spostamento dell’intero baricentro jihadista. Una volta era in medio oriente, adesso è al di là del Mediterraneo. La nuova fase del terrorismo internazionale è iniziata con il ridimensionamento dell’Isis tra Siria e Iraq, lì dove si era originato. Qui a partire dal 2014 il principale gruppo jihadista aveva costituito un vero e proprio califfato, distrutto poi negli anni successivi sia con l’intervento russo a sostegno del presidente Assad in Siria e sia con l’appoggio dato dalla coalizione internazionale, così come dalle milizie sciite filo iraniane, al locale esercito in Iraq. Il fondamentalismo ha quindi trovato terreno fertile tra le dune del Sahara anche grazie all’instabilità in Libia e al suo radicamento nel Sahel.

Tuttavia né l’Isis e né Al Qaeda si possono considerare sconfitte in medio oriente. Diverse cellule sono ancora attive tanto in territorio siriano quanto in quello iracheno. A marzo l’azione dei kamikaze è tornata a scuotere Baghdad alla vigilia della visita di Papa Francesco, mentre nel deserto della provincia siriana di Homs l’esercito di Damasco non è ancora riuscito a domare le ultime sacche di resistenza dell’ex califfato. Poco più ad est in Afghanistan la situazione appare in divenire dopo l’annunciato addio degli americani e la possibile nuova avanzata talebana. In generale, si può affermare che il terrorismo jihadista è ancora molto minaccioso e anche se ridimensionato nelle aree in cui è sorto, ha nel continente africano le sue nuove vere basi. Una circostanza che per l’Europa e per l’Italia deve suonare come un grave e importante campanello d’allarme.