All’inizio di marzo il dipartimento di Stato Usa ha ufficializzato la sua caccia a Hamza Bin Laden, figlio del fondatore di Al Qaeda. Gli americani hanno offerto un milione di dollari a chiunque sia in grado di offrire informazioni utili per la sua cattura. Hamza, 30 anni, già qualche anno fa veniva segnalato come uno dei possibili successori alla guida de “La base”. A ridosso della notizia, accompagnata anche dalla decisione dell’Arabia Saudita di revocargli passaporto e cittadinanza, era stata rilanciata l’indiscrezione che Hamza avrebbe preso in moglie la figlia di Mohammed Atta, il capo dei dirottatori dell’11 settembre. Ma proprio su quest’ultimo punto i dubbi non mancano.
La notizia del matrimonio tra Hamza e la figlia di Atta
Qualche mese prima della taglia americana, ad agosto, il Guardian aveva pubblicato una lunghissima intervista a Alia Ghanem, la madre di Osama Bin Laden, raccontando abbondanti retroscena. Dall’infanzia serena a Gedda, fino al jihad in Afghanistan durante l’occupazione sovietica degli anni Ottanta e alla decisione di intraprendere la sua guerra contro l’America e l’Occidente. L’autore dell’intervista, il giornalista britannico esperto di terrorismo e Medio Oriente Martin Chulov, aveva incontrato diversi membri della famiglia Bin Laden, o meglio del ramo riconducibile a Ghanem. La donna tre anni dopo la nascita di Osama, divorziò dal marito per sposare un secondo uomo, Mohammed al-Attas con il quale vive tuttora. Il fondatore di Al Qaeda visse tutta la sua infanzia con la madre, nella città Saudita di Gedda e venne cresciuto da al-Attas. Successivamente dopo il periodo in Afghanistan e il decisivo passaggio in clandestinità i destini di Ghanem e del figlio si separarono. I due, insieme ai fratellastri Ahmad e Hassan, si incontrarono per l’ultima volta nel 1999 a Kandahar, in Afghanistan. Nel corso della sua visita a Gedda, Chulov ha raccolto un’altra esplosiva testimonianza dai due fratellastri: il nipote, Hamza, si era sposato con la figlia di Atta, l’oscuro leader della cellula di Amburgo.
Le scarse certezze sull’unione tra i due
L’uomo si nutre di simboli e il terrorismo jihadista ha fatto della comunicazione simbolica uno dei suoi strumenti più potenti, basti pensare al simbolismo del Califfato dell’Isis e alla sua capacità di attirare migliaia di foreign fighter. Ecco quindi che l’unione di Hamza con la figlia di uno dei dirottatori ha assunto un peso simbolico fortissimo. Il punto però è che su quell’unione i dubbi sono di gran lunga superiori alle certezze. Partiamo dai fatti. Due membri della famiglia Bin Laden, Ahmad e Hassan, hanno confermato di aver sentito che Hamza ha preso in sposa la giovane. Parallelamente il dipartimento di Stato americano ha scritto nero su bianco che l’unione è avvenuta. Il punto, però, è che le certezze si fermano qui. Nessuno ha saputo dire il nome della sposa, o la sua età, o chi sia la madre, né dove sia avvenuto il matrimonio. Allo stesso tempo il tutto si mescola con la stessa figura di Hamza. Non è chiaro dove si trovi. Voci parlano dell’Afghanistan e delle zone tribali a cavallo del confine con il Pakistan. Alcune lo danno al sicuro in Qatar, mentre altre ancora lo danno al comando di una milizia jihadista, il gruppo Jama’at Ansar al-Furqan in Bilad al Sham, attivo nel Nord-Ovest della Siria. Il fatto è che il presunto successore di Ayman al-Zawahiri è più un fantasma, un’ombra che parla sporadicamente, l’ultima volta con un audio rilasciato nel settembre del 2017.
La vita di Atta e i dubbi sulla figlia
La perplessità su quest’unione, prima che dalle scarse informazioni disponibili, deriva proprio dalla persona coinvolta: Mohammed Atta. Il capo della cellula di Amburgo, addestrata e formata per pilotare i quattro aerei coinvolti negli attacchi dell’11 settembre, è stato un personaggio singolare. Un’eminenza grigia lontana dai canoni cui ci hanno abituato le rappresentazioni del terrorismo islamico. Nato in Egitto, Atta era una persona colta, laureato in Architettura e trasferitosi in Germania negli anni ’90. A metà del decennio aveva intrapreso un percorso di radicalizzazione attraverso la frequentazione della moschea di al-Quds (oggi moschea di Taiba) nel quartiere di St. Georg e ben presto si era avvicinato al movimento islamista, fino alla partenza per i campi di addestramento di al-Qaeda in Afghanistan.
La strada verso il “martirio” contro la Torre Nord fu anche il risultato di un cammino interiore molto intenso per lui. Nick Fielding e Yosri Foudà nel loro libro Masterminds of Terror raccontano molto bene il percorso di Atta a partire dalle testimonianze raccolte ad Amburgo. Una in particolare mostra come l’egiziano fosse portatore di una misoginia di fondo fortissima, un odio nei confronti delle donne che trascendeva gli atteggiamenti di superiorità tipici di certi ceti sociali dell’Egitto e dei Paesi arabi. Un esempio su tutti: lo stralcio di un testamento che scrisse nel 1996 a ridosso dell’operazione Grapes of Wrath condotta da Israele contro il Libano: “Nessuna donna incinta e nessun miscredente dovranno partecipare al mio funerale né dovranno mai visitare la mia tomba”, scrisse Atta, “nessuna donna dovrà invocare il perdono per me. Quelle che laveranno il mio corpo dovranno indossare dei guanti, in modo da non toccare i miei genitali”. Quelle poche righe mostravano uno strano contrasto interiore in Atta, che veniva anche descritto come eccessivamente puritano.
Nella sua scarna biografia i contatti con le donne sono pochissimi. Il primo degno di nota avvenne nel 1995 ad Aleppo, in Siria, ma durò pochissimo perché, per lui, lei era troppo disinibita e soprattutto si rifiutava di seguire la rigida concezione dell’Islam che Atta aveva in mente e anche di indossare il velo. Il secondo fu un tentativo di fidanzamento propiziato dalla sua famiglia con una giovane ragazza de Il Cairo ma ovviamente non si arrivò mai a un matrimonio perché subito dopo la loro conoscenza Atta fece ritorno in Germania e poi ripartì alla volta dei campi di addestramento.
Lawrence Wright nel suo lavoro La altissime torri ipotizza che il suo “matrimonio col terrore” abbia avuto a che fare “con i suoi personali conflitti sessuali non meno che con lo scontro delle civiltà”. C’è poi un altro dato contenuto nei documenti desecretati della Cia datati 2003. Nel rapporto 11 september: The plot and the plotters vengono raccolte le schede di tutti e 19 i dirottatori e sul fascicolo di Atta viene espressamente scritto “single”. Anzi dei 19 che presero parte ai dirottamenti solo 5 erano sposati e di questi solo uno con prole. Tutti numeri confermati poi nel Rapporto della Commissione sull’11 settembre del 2004.

L’altro matrimonio di Hamza
Negli stessi giorni in cui uscivano le indiscrezioni del Guardian, il quotidiano panarabo con sede a Londra, Asharq al-awsat, pubblicava un’intervista a Omar Bin Laden, uno dei fratelli di Hamza. In questo breve intervento Omar confermava che il fratello si era sposato solo una volta, all’età di 17 anni durante il suo soggiorno in Iran. Dopo gli attacchi contro il World Trade Center Osama Bin Laden decise di trasferire parte della famiglia, tra cui il figlio Hamza, nel Paese degli Ayatollah insieme ad altri storici membri dell’organizzazione, tra cui lo sfuggente Saif al-Adel e soprattutto Abdullah Ahmed Abdullah, uno dei dirigenti chiave di al-Qaeda. Qui Abdullah, noto anche con il nome di Abu Mohammed al-Masri, avrebbe favorito il matrimonio tra la figlia e appunto Hamza.
VIDEO: Al Arabiya has received footage and details surrounding the wedding of #HamzabinLaden, the son of #Qaeda’s mastermind Osama, when he was 17-years-old in #Iran.
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— Al Arabiya English (@AlArabiya_Eng) January 19, 2018
Le nozze si sarebbero quindi celebrate a Teheran. A provare ciò è stato anche un video rilasciato dalla Cia del 2017. Nel filmato si vede il giovane Bin Laden in compagnia di al-Masri in un rito officiato da Mohammed Shawki Al-Islambouli, il fratello di Khalid Al-Islambouli, il terrorista responsabile della morte del presidente egiziano Anwar al-Sadat nel 1982. Quel video, rilanciato in occasione della taglia su Hamza, era stato ritrovato in uno dei computer dei Bin Laden dai Navy Seals durante il raid ad Abbottabad che portò alla morte di Bin Laden nel maggio del 2011.