Il fenomeno dei foreign fighters, nonostante sia diventato a noi familiare in seguito all’ascesa dello Stato islamico, è vecchio come il mondo.Ma chi sono realmente questi giovani ragazzi che vanno a combattere in Siria e in Iraq per le bandiere nere? Alcuni documenti sottratti ai jihadisti ci aiutano a comprendere il loro profilo tipico: ventenni, single, di buona famiglia e, attenzione, abbastanza ignoranti sui dettami islamici e, in particolare, sulla conoscenza del Corano. Nei documenti sottratti allo Stato islamico e analizzati dall’Independent, si possono leggere i “nomi di battaglia dei jihadisti, la loro età, i loro studi, l’esperienza maturata nel combattere la guerra santa, le loro nazionalità e molte altre informazioni”.Un altro fattore importante contenuto nei documenti rubati ai terroristi riguarda la loro nazionalità. Molti di loro, infatti, sono sauditi e ciò dimostra – se mai ce ne fosse ancora bisogno – il link tra l’ideologia wahabita e quella delle bandiere nere. Come ha ben spiegato Kamel Daoud sul New York Times, “il gruppo Stato islamico ha una madre: l’invasione dell’Iraq. Ma anche un padre: l’Arabia Saudita e la sua industria ideologica”.L’età media dei foreign fighters è di 26 anni, anche se gli aspiranti terroristi occidentali sono molto più giovani. Massimo Fini, nella sua autobiografia Una Vita. Un libro per tutti. O per nessuno, scrive: “Avevo un eccesso di energie e per la molta parte della mia vita ne ho speso, malamente, la metà per autodistruggermi”. Le parole di Fini sono utili per comprendere ciò che scatta in questi giovani. Vivono in una società ormai priva di valori e, di conseguenza, vengono attratti dai “valori” perversi dei terroristi. Una lezione che l’Occidente dovrebbe imparare.
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