Il timore era nell’aria da giorni e nelle ultime ore le ipotesi di un attentato imminente si erano rincorse sui media e nei report degli 007. Mentre si cerca di capire l’entità e la matrice degli attentati che hanno insanguinato Kabul in queste ore, l’Isis, indiziata numero uno delle stragi, torna ad essere l’incubo non solo dell’Occidente ma anche dei talebani. Ed è proprio questa formazione che rischia di trasformare il Paese in una bomba a orologeria, ben più dei talebani, contribuendo a destabilizzare l’intera regione. Quasi tutti i vicini dell’Afghanistan – Cina, Pakistan, Iran – sono in apprensione a tal proposito: per l’Asia molto meglio i talebani, invece, con i quali tutte queste potenze possiedono già esperienza di cooperazione.

Cos’è l’Isis-K

Nello specifico, la cellula tanto temuta è la cosiddetta Isis-K, branca afghana dello Stato Islamico, a detta dell’intelligence americana, sospettata di stare preparando da tempo un attacco per colpire Nato e afghani in fuga. Il gruppo avrebbe ormai già rivendicato il gesto: stragi coordinate presumibilmente dall’attuale leader Shahab al Mujair, ex qaedista nominato al vertice nell’aprile 2020.

La variante afghana dell’Isis ha una genesi relativamente recente ed è andata raccogliendo proseliti negli ultimi cinque anni, rendendosi responsabile dei principali attacchi alla capitale, “contendendosi” con i talebani il record di attentati verso target militari e civili. Questa divisione nasce da rivalità interne al Paese, fondate sulle divergenze con i pashtun, rei di contrattare con la Cia e l’Occidente intero. La nascita del gruppo è da registrarsi nella provincia del Khorasan, al confine con il Pakistan, dove numerosi comandanti transfughi delle forze talebane hanno deciso di abbracciare la bandiera nera. Lo stesso gruppo, tuttavia, ha anche visto i propri combattenti unirsi ai talebani afgani. A differenza dei talebani, Isis-K aveva espresso palesemente l’intenzione di lanciare attacchi alle potenze occidentali e all’ONU, al di là dei ritiri militari e delle loro scadenze. Isis-K vantava circa 800 combattenti nell’ottobre 2018 e avrebbe raggiunto il picco di dimensioni nel 2016 con un massimo di 4.000 membri militanti, destinati, forse, ad aumentare.

Dov’era in questi anni?

Nei suoi primi anni, il gruppo ha rilevato alcuni distretti nell’Afghanistan orientale e ha gradualmente ampliato la sua presenza al nord. La sua avanzata venne però presto messa sotto scacco matto dalle forze di sicurezza afghane e dai talebani. Sebbene gli sia stato impedito di raggiungere una certa potenza di fuoco, di invadere città e distretti, la sua capacità di effettuare operazioni di sabotaggio e attacchi complessi come attentati suicidi, grandi esplosioni di bombe e uccisioni mirate è rimasta intatta.

Nel 2016, Isis-K ha condotto sei attacchi a Kabul, aumentando a 18 nel 2017 e raggiungendo 24 nel 2018. Più di un migliaio di civili uccisi in decine di attentati, alcuni dei quali recentissimi ed esemplari per esecuzione e obiettivo: 55 morti nell’attacco a una scuola femminile di Kabul l’8 maggio scorso, 12 morti nell’attentato a una moschea a Shakar Darah nella provincia della capitale il 16 maggio, 20 morti all’Università di Kabul nel novembre 2020, 29 morti nell’incursione contro una prigione a Jalalabad.

Nel frattempo, i suoi miliziani si sono dedicati anche alla propaganda, auspicando nuovi attacchi in Occidente in occasione di stragi come quella di Orlando o episodi isolati di terrorismo islamico che hanno riguardato l’Europa.

Alcuni punti deboli

Al momento, le forze di cui Isis-K dispone, sono nettamente inferiori rispetto a quelle finanziarie, militari e politiche dei talebani. Non ha, ad esempio, un santuario vero e proprio: sbaragliati in fretta nella provincia di Helmand, i miliziani sono rimasti radicati in quella di Nangarhar, che si estende in una zona grigia di traffici e intrighi dove domina l’Isi, il servizio segreto pakistano.

Il gruppo ha anche perso i suoi leader uno dopo l’altro in attacchi di droni, bombardamenti e operazioni di terra. Quello che però oggi si teme sono due possibili fenomeni concomitanti: il potere di fascinazione dello Stato Islamico sui giovani studenti islamici ed eventuali defezioni di comandanti talebani se questa cellula dovesse gonfiarsi a dismisura; questa seconda ipotesi, tuttavia, sembra la meno probabile delle due alla luce dell’immagine solida che il gruppo dirigente talebano sta dando di sé in queste settimane.

Due diverse correnti dell’Islam

La vena islamista di questa cellula appare decisamente più radicale rispetto a ciò che sappiamo dello Stato Islamico e, allo stesso tempo, nettamente più purista rispetto ai talebani stessi. I due gruppi si sono scontrati su molti altri temi, tra cui proprio il traffico di droga, che viene utilizzato per finanziare in parte la militanza. Ad esempio, Isis-K crede che la coltivazione del papavero da oppio non sia rispettosa della fede islamica, attività, invece, avallata dai talebani. La società afghana appartiene prevalentemente alla scuola di pensiero islamico hanafita, compatibile con il marchio dell’Islam dei talebani. La branca K dello Stato islamico, invece, segue una rigida interpretazione salafita dell’Islam. Molti rituali islamici, che hanno quasi preso la forma di usanze e tradizioni pashtun, consentiti tra gli hanafiti, sono visti come non islamici ed eretici dai salafiti.

Ergo, per i suoi miliziani guerra permanente e sharia sono il verbo.

Cosa aspettarsi

Al momento, fonti di intelligence sembrano dare le forze di Isis-K in avvicinamento verso Kabul, facendo temere nuovi attacchi nelle prossime ore. In queste delicatissime fasi questa minaccia rischia di gettare benzina sul fuoco afghano rendendo più complessa l’uscita delle forze occidentali ma, allo stesso tempo, l’insediamento dei talebani. Il rischio è che il Paese si trasformi in una battaglia all’ultimo sangue tra le due diverse declinazioni islamiste con grave pregiudizio per i civili. Se queste forze, dovessero rimpinguare le proprie fila e guadagnare avamposti, per l’Afghanistan il loro avanzare-paradossalmente- potrebbe essere ben più pericoloso della reconquista talebana.