L’ambasciatore iraniano in Tajikistan, Hojjatollah Faghani, ha recentemente affermato che le nazioni dell’Asia Centrale dovranno tenere ben presente la minaccia rappresentata dall’Isis e da tutti gli estremisti islamici, specialmente dopo la sconfitta dello Stato islamico in Siria e in Iraq.

L’avvertimento merita senz’altro di essere approfondito, perché alcune nazioni dell’Asia Centrale, tra le quali le ex repubbliche sovietiche di Tajikistan, Uzbekistan e Kyrgyzstan, sembrano vivere nel costante timore che i miliziani dell’Isis possano sfruttare la loro posizione di forza in Afghanistan per penetrare nei loro stati, per oltrepassare le frontiere e portare con sé l’ideologia estremista.

In Afghanistan, e in particolare nelle sue regioni settentrionali, l’Isis si sta rafforzando con sorprendente rapidità, e negli ultimi anni ha condotto attentati devastanti contro gli sciiti e le forze di sicurezza governative, in particolare a Kabul. Uno degli attacchi più sconvolgenti è quello verificatosi il 24 gennaio a Jalalabad City, nella provincia di Nangarhar, dove un commando dell’Isis ha colpito il quartier generale di Save the Children (almeno sei morti e una ventina di feriti, secondo le ultime stime). 

Ma gli estremisti che compiono attentati in Afghanistan sono ben diversi dai miliziani dell’Isis che hanno combattuto in Siria e Iraq: in Afghanistan, l’Isis è conosciuto con il nome Is-Kp, lo Stato islamico della Provincia di Khorasan – un’antica regione che comprende diversi segmenti del Pakistan, dell’Afghanistan e di alcuni stati centroasiatici – ed è formato in gran parte da ex combattenti talebani appartenenti a diversi gruppi, tra i quali i terroristi del Ttp (Tehrik-i-Taliban Pakistan).

Le milizie dell’Is-Kp, nel nord dell’Afghanistan, sono formate essenzialmente da combattenti di etnia centro asiatica, come gli uzbeki, mentre in Siria e in Iraq una buona parte degli estremisti dello Stato islamico era formata da mediorientali e da europei radicalizzati. In definitiva, data la crescente influenza dell’Isis nella parte settentrionale dell’Afghanistan, l’ipotesi che gli estremisti possano penetrare nelle nazioni centroasiatiche sembra molto temuta, specialmente dagli stati confinanti.

Gli stati centroasiatici che confinano con l’Afghanistan sono il Turkmenistan (a nord-ovest), il Tajikistan e l’Uzbekistan, con i quali condivide le proprie frontiere settentrionali. Una delle zone in cui l’Isis è più attivo – oltre alla provincia afghana di Nangarhar e ai distretti di Achin, Khogyani e Sherzad – è proprio l’area di Jowzjan, situata al confine con l’Uzbekistan. Nella provincia di Kunduz, a poco più di 60 chilometri dal confine con il Tajikistan, gran parte dei miliziani arruolati dall’Isis proviene dalle repubbliche centro asiatiche, e si dice che gli estremisti di nazionalità tagika attraversino i confini con sorprendente disinvoltura, specialmente quelli con il Turkmenistan e il Tajikistan (i mercenari tagiki utilizzerebbero dei passaporti falsi, ma si tratta di un’ipotesi non confermata). Del resto, i miliziani dell’Is-Kp spadroneggiano nel nord dell’Afghanistan da almeno due anni, e i tentativi delle autorità locali per sconfiggerli si sono risolti in miseri fallimenti.

In Afghanistan, i miliziani dell’Isis sembrano in grado di sfruttare al meglio le condizioni naturali offerte dal paesaggio delle regioni settentrionali – in gran parte montagnose –, e per cercare di neutralizzarli serviranno certamente sforzi eccezionali, continuativi. Gli Stati Uniti hanno iniziato a colpire i combattenti dell’Isis con una serie di raid aerei, ma la loro minaccia è ancora persistente.

“È molto difficile sconfiggere l’Isis nel nord dell’Afghanistan – afferma Raman Ghavami, analista ed esperto di politica estera; – Per porre fine alle loro attività non serviranno gli eserciti tradizionali: soltanto la guerriglia tra le montagne potrà sconfiggere definitivamente l’Isis nel nord del Paese”.

Secondo Ghavami, inoltre, la penetrazione dell’Isis negli Stati dell’Asia Centrale è resa altamente improbabile dalla solidità delle loro posizioni nel nord dell’Afghanistan, una base affidabile che può permettere agli estremisti di organizzare operazioni lampo e di ritirarsi con grande serenità.

“Tra le montagne, i terroristi possono nascondersi, combattere e scappare, utilizzando al meglio la strategia fight and run – prosegue Ghavami; – Se la situazione resterà invariata, è davvero improbabile che i miliziani possano abbandonare le loro posizioni per dirigersi nelle nazioni confinanti”.

Se una penetrazione dell’Isis nelle repubbliche centroasiatiche appare abbastanza improbabile, almeno per il momento, la connessione tra l’Asia Centrale e il terrorismo islamico è abbastanza evidente: secondo un rapporto pubblicato nel 2015, i centroasiatici che si sono uniti allo Stato islamico sarebbero tra i 2mila e i 4mila. Una parte di loro viene reclutata durante la loro permanenza (spesso per lavoro) in Stati stranieri, ad esempio in Russia, una nazione che condivide con le repubbliche centro asiatiche degli ovvi legami linguistici, economici e culturali.

Chi decide di radicalizzarsi è solitamente spinto dalla mancanza di libertà e di prospettive, un problema che affligge la quasi totalità delle repubbliche ex sovietiche dell’Asia Centrale. In Uzbekistan e Tajikistan, due delle nazioni che hanno contribuito in misura maggiore ai rincalzi dell’Isis in Siria – nel 2016 gli uzbeki e i tagiki che combattevano per l’Isis in Siria erano circa un migliaio – la radicalizzazione avviene per gradi, e dipende soprattutto dall’oppressione politica e religiosa esercitata dai governi, dalla sostanziale mancanza di opportunità economiche e lavorative.

Nonostante il severo controllo del governo su ogni forma di espressività religiosa, in Uzbekistan si sviluppò l’Imu, l’Islamic Movement of Uzbekistan, un gruppo terrorista animato dal desiderio di dare vita a un califfato islamico nel Paese. Nel 2015, il gruppo strinse alleanza con l’Isis, e i suoi componenti sono ritenuti responsabili di diversi attentati suicidi verificatisi in Pakistan, uno dei territori in cui risultano maggiormente attivi. Indipendentemente dalla minaccia rappresentata dai gruppi estremisti nazionali, in ogni caso, il governo uzbeko è costantemente preoccupato dall’accrescersi delle attività terroristiche perpetrate nel vicino Afghanistan, specialmente in prossimità del confine (l’Uzbekistan condivide con gli afghani un confine di circa 150 km).

“È molto difficile che l’Isis possa pensare di stabilire una propria base in una delle repubbliche ex sovietiche dell’Asia Centrale, soprattutto a causa della natura autoritaria e repressiva di alcuni regimi – continua Raman Ghavami; – Dal punto di vista delle infiltrazioni dell’Isis, le nazioni centroasiatiche maggiormente a rischio potrebbero essere il Kyrgyzstan e l’Uzbekistan, che in passato sono state aiutate dalla Russia a combattere alcuni gruppi sunniti che si erano sviluppati all’interno dei confini nazionali. In futuro potrebbero essere nuovamente a rischio, ma la gravità del pericolo dipenderà soprattutto da chi deciderà di supportare i gruppi di estremisti”.

Negli scorsi giorni, quasi a confermare la serietà della minaccia rappresentata dall’Isis in Asia Centrale, l’amministrazione Trump ha annunciato di voler potenziare il contingente statunitense in Afghanistan, rafforzandolo con mille consiglieri militari, droni da combattimento e artiglieria.