“L’istruzione occidentale è proibita”. Basterebbe questa semplice traduzione per capire la linfa e il motore dell’organizzazione fondata all’inizio degli anni duemila. Boko Haram: la potente formazione jihadista che, per oltre un decennio, ha insanguinato e terrorizzato la Nigeria e i Paesi limitrofi. Il gruppo venne fondato intorno al 2002 da Ustaz Mohammed Yusuf a Maiduguri la capitale dello stato federale del Borno. Ed è proprio qui che la violenza del gruppo si è sprigionata. La morte di Yusuf nel 2009 ha portato a un cambio al vertice e, per circa sei anni, il gruppo è stato guidato da Abubakar Shekau, un fanatico religioso che salì all’onore della cronaca nel 2014 con il rapimento di oltre 200 studentesse della scuola di Chibok. Poi tra il 2015 e 2016 è arrivato il cambio di passo. L’Isis ha accettato l’affiliazione di Boko Haram con il Califfato e alla guida del gruppo è arrivato Abu Musab al-Barnawi. Per dare il via all’affiliazione al Baghdadi ha chiesto esplicitamente il passo indietro di Shekau, considerato troppo efferato sanguinario, soprattutto per l’uso di bambine kamikaze. In risposta al-Barnawi ha poi promesso un cambio di strategia con l’addio agli attacchi contro le moschee.

Secondo i dati dell’Armed Conflict Location & Event Data Project (Acled), nel periodo compreso tra il 2010 e il giugno di quest’anno, la furia del gruppo ha provocato la morte di oltre 31mila persone. La cosa inquietante e per certi versi sorprendente è la rapidità con cui la violenza è esplosa. Basti pensare che nel 2010 le vittime riconducibili ad azioni di Boko Haram sono state solo 68, mentre nel giro di due anni sono aumentate a ritmi vertiginosi: 594 nel 2011; 1.647 nel 2012; 2.974 nel 2013 e addirittura 7.712 nel 2014. Ma l’anno più difficile a sanguinoso è stato il 2015 quando le persone trucidate furono oltre 10mila. Qualcosa è cambiato proprio quell’anno, quando un gruppo di Paesi ha formato una coalizione per cercare di fermare l’avanzata del califfato africano. Da quel momento il numero di vittime è tornato a scendere, rimanendo però ancora elevato, con una media di oltre 3mila morti l’anno.





Tra coloro che si sono uniti per combattere Boko Haram c’era ovviamente il governo nigeriano al quale si sono aggiunti altri tre Paesi, finiti anch’essi nel mirino di Shekau. In particolare Niger, Ciad e Camerun. Boko Haram infatti dopo aver fortificato la sua posizione nello Stato del Borno ha iniziato delle sortite oltre il confine, in particolare nelle due regioni settentrionali del Camerun. Tra il 2015 e 2018 almeno 1.800 persone hanno perso la vita nel Paese per mano di Shekau prima e al-Barnawi poi. Duramente colpito anche il vicino Niger che ha subito oltre un centinaio di attacchi che hanno provocato la morte di 893 persone tra civili e militari. Non è rimasto immune nemmeno il Ciad che in tre anni ha subito 32 attacchi con 651 vittime.

Osservando la mappa sull’intensità degli attacchi si può vedere come Boko Haram sia fortemente radicata nel Nord Est del Paese e che la formale istallazione di una sorta di califfato tra il 2015 e 2016 abbia messo in luce le capacità gestionali del gruppo che in quei territori era arrivato a dettare legge con modalità molto simili a quelle viste dall’Isis in Siria e Iraq. I numeri ora suggeriscono che il gruppo sia in difficoltà ma la diaspora “al contrario” di combattenti che stanno lasciando il Medio Oriente potrebbe avere pesanti ricadute sul continente africano e sulla Nigeria con una recrudescenza degli attacchi e la necessità di nuove campagne internazionali.

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