Forse la storia della ribellione islamista di Boko Haram è arrivata a un punto di svolta. La setta jihadista che dal 2009 ad oggi ha provocato oltre 350.000 morti e un esodo di 4 milioni di persone nel nord est della Nigeria e nella regione transfrontaliera del Lago Ciad, ha subito nell’ultimo mese una durissima battuta d’arresto. Stando infatti a quanto riportato dall’emittente britannica BBC, a partire da fine agosto, oltre 6mila ribelli musulmani hanno disertato consegnandosi alle autorità militari nigeriane e camerunensi.
A diffondere la notizia della resa di migliaia di mujaheddin è stato il governo di Abuja che ha fatto sapere che l’avanzata delle truppe regolari nel nord ovest del Paese e la morte di una delle figure cardine della formazione jihadista, Abubakar Shekau, sono stati i principali motivi all’origine della consegna delle armi e della diserzione di un numero considerevole di ribelli islamici.
“Stanno disertando a frotte. Per grazia di Dio e, con la dovuta cautela, speriamo che con questa svolta tutto finisca presto”, ha detto una fonte della sicurezza di Abuja alla testata nigeriana Vanguard. Nell’articolo della testata nigeriana ufficiali dell’esercito regolare spiegano anche che l’impiego congiunto di artiglieria e mezzi corazzati, della marina sulle acque del Lago Ciad e dell’aviazione nei cieli nigeriani sono stati i fattori principali che hanno portato alla smobilitazione in massa dei combattenti islamisti. Un successo militare che, unito ai contrasti interni alla formazione ribelle, alle faide intestine per la successione alla leadership dopo la morte di Shekau e anche a una situazione di crisi alimentare che ha travolto il Sahel e il nord est della Nigeria, ha visto sgretolarsi poco a poco, tra la fine di agosto e l’inizio di settembre, uno dei gruppi terroristici più feroci e spietati all’interno della galassia dello jihadismo internazionale.
Da un lato la notizia dell’implosione del gruppo terrorista fa sperare la popolazione civile e, in molte città che sono state travolte negli ultimi anni dalla violenza ferina dei combattenti di Shekau, la disfatta delle bandiere nere è stata accompagnata da celebrazioni e dimostrazioni di giubilo. Parallelamente però sono sorti molti interrogativi su come affrontare questa resa di massa e quale futuro disegnare per gli ex terroristi.
Per il governatore dello stato del Borno Babagana Zulum, leader di uno dei territori che negli ultimi anni sono stati maggiormente colpiti dal terrorismo di Boko Haram, la diserzione in massa dei ribelli jihadisti porta a un problema di carattere etico e morale di estremo spessore che, se non affrontato nei modi corretti, potrebbe far insorgere problematiche molto serie e gravose per il Paese. “Siamo in una situazione molto difficile perché ora ci si parano davanti due interrogativi; o intraprendere un cammino di riconciliazione e reinserimento oppure proseguire con una logica di guerra e far pagare ai terroristi arresi la propria pena per ciò che hanno fatto. È un quesito molto annoso perché o proseguiamo con la guerra oppure dobbiamo accettare nella società i combattenti jihadisti, gli stessi uomini che per 12 anni hanno ucciso la popolazione e sono stati gli assassini di uomini, donne e bambini”.
Proseguendo nella sua dichiarazione alla testata nigeriana il governatore dello stato del Borno ha poi aggiunto: “Accettare i pentiti di Boko Haram ha il rischio di offendere gravemente i sentimenti delle vittime. Ma nel momento in cui i combattenti di Boko Haram disposti ad arrendersi non dovessero affrontare un percorso di reinserimento e deradicalizzazione, c’è il rischio che si uniscano all’ISWAP (la branca africana di ISIS operativa in Nigeria e nel bacino del Lago Ciad) o ad altre formazioni islamiste operative nel Sahel e la via della pace quindi si restringerebbe considerevolmente. Io al momento posso solo dire questo: possiamo perdonare ma non possiamo dimenticare”.
Un aspetto importante è che la stragrande maggioranza dei combattenti che si sono arresi appartenevano all’ala di Boko Haram conosciuta come JAS, e con a capo il leader storico Abubakar Shekau. Al momento in Nigeria e nella zona di frontiera con Ciad, Camerun e Niger opera però anche l’ISWAP, un gruppo nato da Boko Haram ma che poi si è separato giurando fedeltà a Daesh e iniziando a creare un Califfato tra le sabbie saehliane. Il timore dell’esecutivo di Abuja è quindi quello che se non vengono attuate le giuste politiche di amnistia e reinserimento questi miliziani pentiti possano andare ad allargare le fila del gruppo jihadista ancora attivo o addirittura divenire una quinta colonna del Califfato all’interno della società civile nigeriana.
Ad oggi la volontà del governo sembra proprio quella di sottoporre i terroristi a un percorso di deradicalizzazione e graduale inserimento nella società. InsideOver, nel 2019, aveva raccontato attraverso un reportage esclusivo come le pratiche di deradicalizzazione e accompagnamento nel tessuto sociale, in Ciad, avessero permesso poi ad ex terroristi di divenire delle figure cardine nella lotta al proselitismo e alla propaganda delle bandiere nere. Ora in Nigeria la questione è però più complessa perché il numero di pentiti è estremamente consistente, e un loro inserimento significa anche occuparsi di una loro formazione culturale e professionale, di un loro ritorno alle comunità d’origine e di un ingresso graduale anche nel mondo del lavoro. Tutte politiche che spesso non sono state attuate per le centinaia di migliaia di vittime di Boko Haram che vivono nelle tendopoli del più popoloso paese d’Africa.
Il quesito in massima sintesi si riduce a questo interrogativo: ”è legittimo aiutare i carnefici quando non è stato possibile farlo con le vittime?”. Una risposta a questa domanda è difficile darla, il Paese è diviso e spaccato tra chi sostiene la politica della linea dura e chi invece predica la necessità della riconciliazione, in ogni caso la Nigeria oggi si trova ad affrontare non solo un semplice interrogativo di carattere nazionale ma una sfida globale, perché scegliere la strada giusta significa nei fatti mettere fine allo jihadismo, intraprendere un nuovo corso della storia e dimostrare che la Nigeria non sarà il nuovo Afghanistan ma una terra libera dal totalitarismo dell’odio.