Marco Loiodice, 38 anni, ha lasciato l’attività di consulente nel settore dei servizi per rivolgersi alla cooperazione internazionale, coordinando interventi umanitari in Brasile nella favela Rocinha, in Sierra Leone nel contesto dell’epidemia di ebola, in Nigeria nel corso della crisi Boko Haram. È autore del blog “Finestra sulla favela”. Attualmente si occupa di progetti umanitari dalla sede di Milano di “COOPI – Cooperazione Internazionale”, con attenzione particolare alla crisi siriana e irachena.
Cosa sta accadendo in Nigeria con Boko Haram?
È in corso un tremendo conflitto armato tra l’esercito del governo nigeriano e il gruppo armato di opposizione Boko Haram, gruppo di sedicente matrice islamica sunnita. Il conflitto si è inasprito nel 2009, dopo l’uccisione del leader fondatore Yusuf, sostituito da Abubakar Shekau, e si è intensificato ulteriormente nella seconda metà del 2015 quando il governo nigeriano di recente elezione, guidato dal presidente Buhari, si è progressivamente reso consapevole che il fenomeno si stava allargando in modo preoccupante. Infatti, Boko Haram era riuscito a occupare i territori e le capitali di tre stati del nord-est: Borno, Yobe e Adamawa. Nel 2010 Boko Haram è arrivato ad attaccare le basi ONU nella capitale della Nigeria, Abuja. Inoltre il fenomeno si stava (e si sta tuttora) estendendo all’intera regione del lago Ciad, coinvolgendo quindi il Niger del sud, il Ciad occidentale e il Camerun del nord-ovest. Attualmente la presenza sui territori e la capacità di azione di Boko Haram è molto ridotta anche in conseguenza di un’azione militare congiunta dei quattro paesi coinvolti. Tuttavia la componente di ostinazione del gruppo è tale che sconfiggerli appare ancora difficile.
Quali sono i riflessi di questa tragedia sulla popolazione?
La popolazione è tragicamente provata dalla presenza di Boko Haram che negli anni ha progressivamente rotto le connessioni sociali e sottoposto a continui rapimenti e inaudite violenze i villaggi presenti nei territori occupati e in quelli adiacenti. Boko Haram invade e distrugge i villaggi e arruola a forza bambini e bambine e massacra gli adulti che provano a fare resistenza. Ma la popolazione è provata anche dalla durezza dell’azione militare governativa che contrattacca tagliando le vie di sostentamento verso le aree occupate, mettendo a rischio di morte per fame anche i civili. Il risultato di tutto ciò è quella che dall’ONU e dalle organizzazioni umanitarie è stata definita “la più grave carestia” degli ultimi decenni. Di recente l’ONU è arrivata a dichiarare che nello stato di Borno non ci sono più bambini sotto i cinque anni, e che “un’intera generazione è stata cancellata” dalla fame e dalla guerra. Ci sono 2.300.000 sfollati e 7.00.000 persone a rischio di morte di fame, di cui il 60% circa sono minori. La violenza subita da minori e dagli adulti rapiti poi è inaudita. I maschi sono indottrinati alla guerra, le ragazze sono violentate di continuo perché gli affiliati di Boko Haram credono di ottenere una “continuità generazionale” mettendo al mondo figli, tanto che una delle vie che il Governo prova ad esplorare per individuare le aree occupate sono le cosiddette “vie del viagra”, che i guerriglieri comprano a questo scopo. Ci troviamo nel Sahel, una regione già storicamente segnata da carestie nei nostri tempi a causa dell’avanzare del deserto e dal prosciugamento del lago Ciad. Una popolazione molto povera, di pastori e contadini, dalle tradizioni antiche di straordinario fascino rischiano di svanire.
Quali sono le connessioni con il terrorismo islamico e l’Isis?
Nel 2009 Boko Haram si è divisa in due gruppi: il primo ha conservato il nome originario e ha cominciato una strategia di occupazione dei territori simile a quella dell’Isis, guadagnandosi il riconoscimento di al-Baghdadi, che ha dichiarato la regione colonia africana dello Stato Islamico, chiamandola “Western Africa Islamic State”; il secondo, Ansaru, si è affiliato invece ad Al-Qaeda adottandone le strategie terroristiche.
Connessioni locali?
L’organizzazione è stata fondata nel 2002 come gruppo non armato di protesta contro la dilagante corruzione dello stato e la mancata distribuzione delle risorse economiche del sud pieno di ricchezze per la presenza del petrolio e delle risorse naturali attorno al delta del fiume Niger. Il gruppo contrapponeva alla corruzione, che sostenevano avesse origine dai costumi occidentali (infatti “boko haram” si può tradurre come “istruzione occidentale proibita”), alla purezza del messaggio islamico. Così facendo trovava un naturale consenso presso le comunità locali, molto povere e messe a dura prova dal progressivo deteriorarsi delle condizioni ambientali. Basti pensare che per un certo periodo Boko Haram arruolava principalmente adolescenti che avevano aspirazione a lasciare le campagne per avviare attività imprenditoriali autonome, a sostegno delle quali i Governi avevano promesso loro supporto economico mai arrivato , se non proprio da Boko Haram.
Quali sono le vicende umane che più l’hanno colpita?
Ce ne sono tantissime. Il fenomeno che più colpisce è la propensione delle comunità adiacenti all’epicentro della crisi ad ospitare i profughi. Si vengono così a costituire nuclei famigliari in media di 9 o 10 persone (fino anche a 15, 20) entro le quali la presenza di adulti può essere anche nulla. I contadini, spesso tentano il ritorno alle loro terre per esserci nella stagione della semina, e spesso sono costretti a tornare indietro sui loro passi avendo trovato le terre ancora occupate da Boko Haram oppure dai pastori nomadi. Si produce così una raccapricciante guerra tra poveri all’interno della guerra stessa. Ho raccontato molte di queste storie nel mio blog: “Guardami in faccia!”.
Le autorità religiose locali combattono il fenomeno?
Sono spesso state accusate di produrre i terroristi tramite le scuole islamiche, ma ciò è stato smentito da ricerche condotte sul campo. In effetti esse sono una delle chiavi per ridurre il potenziale consenso e l’arruolamento spontaneo dei giovani, perché contribuiscono a mostrare le profonde contraddizioni tra quanto predicato da Boko Haram e il loro comportamento.
Che ruolo può giocare l’istruzione?
È fondamentale perché le popolazioni locali possano capire in modo oggettivo da dove derivano questi fenomeni e quanto siano controproducenti. Serve anche nella direzione di attenuare la stigmatizzazione che i bambini che fuggono da Boko Haram devono subire per essere marcati come ex-soldati e quindi carnefici, mentre invece sono evidentemente solo vittime.
Cosa vorrebbe raccontare a una persona che vive in Europa e non conosce questa storia?
Intanto vorrei informarla sulla crisi umanitaria in corso in quanto probabilmente non avrà avuto modo di saperne molto. Si tratta infatti di una di quelle crisi “trascurate” delle quali si vieni a conoscenza quando ormai l’ecatombe si è ormai realizzata, come già accaduto in Ruanda. La crisi nigeriana ha per altro riflessi nella nostra vita di tutti i giorni , come ci rivelano i dati del 2016 dell’UNHCR che ci raccontano come moltissimi dei rifugiati che sbarcano dai famosi barconi sono proprio nigeriani. Consiglierei poi per gli appassionati della cultura africana di vedere il documentario di Herzog “I pastori del sole”, estremamente suggestivo su queste popolazioni e sulla loro cultura: sono queste che stiamo perdendo nella crisi.
Di cosa si occupava giù?
Personalmente coordinavo il programma di risposta alla crisi di COOPI – Cooperazione Internazionale che prevedeva Sicurezza Alimentare, Nutrizione, Protezione Infanzia in collaborazione con la Commissione Europea (ECHO), FAO, Unicef e alcune ONG internazionali e locali. In generale COOPI ha sviluppato il suo programma a partire dal 2014 con una risposta di natura regionale, a supporto delle popolazioni del Niger, Ciad, Nigeria e Camerun al fine di risolvere le necessità primarie. COOPI interviene con una risposta emergenziale multi-settoriale che abbraccia Sicurezza Alimentare, Nutrizione, Protezione ed Educazione in emergenza. In Nigeria fornisce supporto a 78.000 persone con beni di prima necessità, 2.000 bambini non accompagnati da adulti con servizi di protezione, 8.500 bambini sotto i 5 anni con prevenzione e cura di malnutrizione, 22.000 donne con formazione su corretta alimentazione di infanti e bambini sotto i 5 anni.