Chi ha attentato alla vita del premier palestinese, Rami Hamdallah, e del capo dell’intelligence palestinese, Majid Faraj? Qual era lo scopo dell’attentato: ucciderli o semplicemente mandare un messaggio? Le domande si susseguono e continuano a non trovare una risposta.
Il premier era in arrivo nella Striscia di Gaza, ufficialmente per inaugurare un impianto di acque reflue e per alcuni incontri con i capi politici dell’enclave palestinese. Ufficiosamente, la presenza sua e di Faraj erano ovviamente legate a motivazioni di altro tipo, ben più importanti del pur utilissimo impianto fognario per un’area che vive senza strutture che depurino le acque. Il rispetto per l’accordo siglato fra Hamas e Anp in Egitto è un problema essenziale per politica regionale e Il Cairo ha premuto soprattutto su Hamdallah per farlo andare a Gaza City dopo mesi.
Hamas è stato da subito individuato come mandante da parte dell’Anp. Ma vedendo bene sia la dinamica del fallito attentato sia gli eventi che l’hanno preceduta, non sembra che l’organizzazione che governa la Striscia, avesse motivo di colpire Hamdallah. Né che avesse interesse a chiudere un occhio e lasciare che qualcun altro attaccasse gli illustri ospiti da Ramallah.
Come ricordato dal quotidiano israeliano Haaretz, “Hamas vuole dipingersi come una forza dominante che è disposta a rinunciare alla sua parte di potere per la preoccupazione per il popolo, e non per i suoi stessi fallimenti. Il fatto che non sia riuscito a contrastare questo attacco indebolirà la sua posizione nei colloqui con l’Egitto e Fatah, la fazione dominante dell’Autorità palestinese”. Il tentativo di assassinio è avvenuto sulla principale arteria nord-sud della Striscia, vicino al valico di Erez. Si tratta di un’area che è apparentemente sotto la stretta supervisione dei servizi di sicurezza di Hamas. Pertanto, l’organizzazione non ha dato l’impressione di saper garantire la sicurezza dei suoi abitanti.
Inoltre, c’è un motivo politico legato all’accordo sponsorizzato da al Sisi per cui Hamas non avrebbe una ragione valida per attentare al premier e infrangere l’accordo. Data l’impasse continua e prevedibile nei colloqui di riconciliazione tra Hamas e Fatah, l’accordo rimane conveniente per Hamas. Di fatto, l’organizzazione controlla ancora Gaza, mentre, attraverso l’opera dell’Anp, si continuano a costruire infrastrutture vitali e urgentemente necessarie che attenuano il disastro ambientale e umanitario causato dall’assedio israeliano.
L’impianto delle acque reflue oggetto del viaggio dei due palestinesi, ad esempio, non era per niente secondario. L’infrastruttura, il cui prezzo è stato di 75 milioni di dollari ed è stato coperto interamente da Svezia, Belgio, Francia, Commissione europea e Banca mondiale, dovrebbe servire circa 400mila persone. Mentre il Mideast Quartet (Stati Uniti, Nazioni Unite, Unione europea e Russia) ha collaborato con le autorità israeliane in modo da consentire ai materiali e agli esperti di entrare a Gaza. Senza la loro assistenza, la costruzione avrebbe probabilmente richiesto molti più anni.
Proprio per questo motivo, prima di giungere alla conclusione che Hamas sia colpevole o mandante dell’attentato, occorre valutare se ne avesse interesse. In un solo episodio, si è dimostrata incapace di garantire la sicurezza, colpevole di un attentato verso connazionali palestinesi e pronta a infrangere un accordo del tutto pendente in suo favore. Qualcosa non torna.
Ciò porta a svariate possibilità: in primo luogo, l’organizzazione dietro l’attacco potrebbe essere quella che opera in opposizione alla politica di Hamas all’interno della Striscia, in particolare gruppi salafiti, come sostenuto da Tawfiq Abu Naim. In alternativa, che Hamas abbia chiuso un occhio su un atto che avrebbe dovuto minacciare gli alti funzionari dell’Autorità, ma non ucciderli. Terza ipotesi, un gruppo ribelle del tutto incontrollato, magariC di giovani, visto che non hanno svolto il loro compito a dovere. Quarta ipotesi, uno Stato straniero, che Hamas ha individuato in Israele. Di certo, chiunque l’ha fatto, non vuole la riconciliazione fra Gaza e Ramallah. Questa è l’unica certezza.