L’attentato alla scuola di polizia generale a Bogotá dello scorso 17 gennaio non cessa di far discutere; una ricostruzione del tragitto dell’auto-bomba mostrato dall’emittente televisiva colombiana “NoticiasUno” ha messo in evidenza una serie di incredibili falle nella sicurezza che hanno permesso all’attentatore di penetrare all’interno del perimetro e di aggirarsi tranquillamente per le strade interne prima di farsi esplodere, causando la morte di 21 persone.

L’auto, una Nissan Patrol ’93 caricata nella parte posteriore con 80 kg di pentolite è entrata all’interno della base dall’ “Autopista Sur” passando per l’ingresso dove era presente soltanto un agente di guardia e con tanto di cancello aperto (delimitato da alcuni coni) a causa di un guasto al meccanismo di apertura-chiusura. L’agente di guardia, identificato come Holger Abdel Gonzalez, avrebbe dichiarato di aver confuso l’auto con quella di un generale del compound e di non essersi insospettito perché l’auto procedeva a velocità moderata.

Secondo le ricostruzioni del fatto, non solo nessuno ha provato a fermare il veicolo all’ingresso, ma è tranquillamente transitato per una prima strada interna davanti a un gruppo di reclute in marcia per poi svoltare a sinistra e inoltrarsi ulteriormente nella struttura prima di venire fermato da un militare; a quel punto il terrorista ha fatto marcia indietro ed ha imboccato un’altra strada che costeggia le camerate dei cadetti, anche in questo caso senza alcun controllo, per poi girare nuovamente a sinistra e farsi esplodere mentre era in atto la commemorazione per la morte di un alto ufficiale in pensione.

Una ricostruzione che contrasta con quanto dichiarato lo scorso venerdì in conferenza stampa dal ministro della Difesa, Guillermo Botero, che aveva invece parlato di un veicolo che si era introdotto ad elevata velocità all’interno della base, obbligando l’agente di guardia a ritirarsi per evitare di essere investito. 

Poche ore dopo le autorità identificavano l’attentatore come Josè Aldemar Rojas Rodriguez, 56 anni, noto come “Kiko” o “el Mocho”; per anni membro delle Farc, Rojas era poi passato all’Ejercito de Liberacion Nacional (Eln), organizzazione per la guerriglia marxista nata in Colombia nel 1964 e da sempre legata alla Cuba castrista dove il suo fondatore, Fabio Vásquez Castaño, veniva addestrato.

Rojas era conosciuto anche per la sua esperienza con gli esplosivi e tra il 2008 e il 2010 aveva anche perso la mano destra durante la preparazione di alcuni ordigni.

Le autorità colombiana rendevano noto che Rojas faceva parte del Fronte Domingo Lain Saenz, operativo nella regione di Arauca, al confine col Venezuela, dove ha messo a segno numerosi attacchi contro infrastrutture petrolifere.  L’auto utilizzata per l’attentato risultava immatricolata proprio in Arauca.

I vertici del governo di Bogotà hanno puntato il dito non soltanto contro il “Coce”, Comando Centrale dell’Eln, ma anche contro il governo cubano, accusandolo di dare rifugio alle “menti” della strage. Secondo quanto dichiarato dal capo di Stato colombiano, Ivan Duque, a Cuba si nasconderebbero attualmente ben “10 capi militari” dell’Eln.

Immediata la risposta del ministro degli Esteri dell’Avana, Bruno Rodríguez, che ha parlato di “repressione colombiana” nei confronti dei leader e della guerriglia marxista e di “ragioni umanitarie” per la permanenza di membri dell’Eln a Cuba. L’ultimo attentato attribuito all’Eln era del 26 ottobre 2015 quando un gruppo di guerriglieri aveva attaccato una pattuglia dell’esercito nella zona rurale di Guican, uccidendo dodici militari.

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