Nel contesto nordafricano, l’Algeria sembra essere quasi sparita dal circuito mediatico: negli ultimi otto anni, in questa parte del globo così vicina a casa nostra sono accaduti alcuni degli eventi più importanti della storia recente, dalle primavere arabe agli attentati terroristi tra Tunisia ed Egitto, passando poi per il conflitto in Libia; di Algeria, in tutto ciò, non si è sentito più parlare ed è come se l’onda degli eventi avesse scavalcato questo enorme paese sospeso tra Sahara e Mediterraneo. Eppure ad Algeri, come nelle altre province algerine, la situazione non è certo tra le più fluide e tranquille: crisi economica, tensioni sociali, un islamismo che da queste parti viene più soffocato dai ricordi degli orrori della guerra civile degli anni 90 che da un reale superamento dei problemi interi alla società; in poche parole, anche l’Algeria appare una pentola a pressione pronta ad esplodere ed è bastato un attentato contro alcuni militari nelle scorse ore per far tremare l’intera opinione pubblica.

Cinque militari uccisi vicino il confine con la Tunisia

La notizia di un grave episodio in una delle ultime lande del paese prima della frontiera tunisina, è arrivata nella tarda mattinata di mercoledì ed ha subito fatto pensare al peggio: nella cittadina di Bir el Ater, nella provincia di Tebessa, un ordigno è esploso al passaggio di un convoglio militare, provocando la morte di almeno cinque soldati ed il ferimento di altri due. Si è trattato di uno dei più gravi attentati degli ultimi anni in Algeria, il quale ha preso di mira uomini dell’esercito impegnati in una fase di rastrellamento e controlli a tappeto in una delle regioni a più alto rischio di infiltrazioni jihadiste; la bomba era rudimentale ed artigianale, ma tanto potente da provocare la distruzione del mezzo in cui viaggiavano le vittime. Non si è trattata di una semplice casualità, bensì di un’azione premeditata ed escogitata apposta per mietere vittime tra i militari e destare notevole scalpore tra la popolazione.

Il pericolo jihadista in Algeria

Negli anni 90 tra i media francesi indicare ‘terrorismo islamico’ e ‘terrorismo algerino’ equivaleva a parlare di veri e propri sinonimi; è qui che la jihad ha iniziato a manifestarsi nel nord Africa, le legislative del 1991 vinte dal FIS (Fronte Islamico di Salvezza) hanno dato il via ad una stagione terribile in cui a fronteggiarsi non sono stati soltanto l’esercito ed i miliziani, ma anche due modi contrapposti di concepire la società algerina. La guerra civile nata da quello scontro, è durata parecchio ed ha causato alcune delle peggiori atrocità vissute dal paese; è per questo che, quando l’estremismo islamico è diventato un pericolo globale tanto da essere convogliato nella ‘rete’ di Al Qaeda, l’Algeria si è presentata con gli anticorpi necessari per evitare il contagio dell’ideologia e dell’organizzazione di Bin Laden. La paura di ricadere negli anni bui della guerra civile, ha accomunato ed accomuna ancora oggi la società algerina; pur tuttavia, non sono mancati personaggi di spicco nella galassia jihadista provenienti dall’Algeria, a partire ad esempio da Mokhtar Belmokhtar.

Leader della sigla al-Murabitun, diventata poi nel 2015 AQIM (Al Qaeda nel Magreb Islamico), Belmokhtar viene considerato da anni come il principale signore della guerra del Sahara e del Sahel, capace di incidere profondamente nelle dinamiche terroristiche dell’Africa Sahariana e sub Sahariana; è proprio l’AQIM a rappresentare il principale spauracchio per la sicurezza del paese, specialmente nelle zone desertiche dove la natura del territorio dona maggiori possibilità ai terroristi di organizzarsi e trovare basi logistiche. Proprio nelle scorse ore, nella regione di Tamanrasset l’esercito ha annunciato la resa e la sua consegna alle autorità da parte di Abu Rokia, uno dei principali nomi interni al terrorismo algerino e, in particolare, alla ‘filiale’ locale di AQIM.  Dallo scorso mese di settembre invece, risultano attive alcune cellule dell’ISIS le quali hanno rivendicato un attentato costato la vita a due poliziotti sul finire della scorsa estate. 

Le operazioni anti terrorismo vanno avanti dal 2017

Il governo algerino, per il timore di un contagio derivante dalle situazioni in corso sia in Tunisia che in Libia, dallo scorso anno ha avviato un’intensa campagna volta a stanare covi e basi jihadiste in tutto il paese; il convoglio militare colpito dall’attentato delle scorse ore, era per l’appunto tra quelli che stavano eseguendo rastrellamenti in una delle zone più delicate dell’Algeria, lì dove il confine con la Tunisia non manca di attirare possibili terroristi e far aumentare lo spauracchio di una recrudescenza del fenomeno islamista. Nel 2017 diversi appartenenti alle sigle principali dello jihadismo algerino sono stati arrestati, ma è negli ultimi mesi che le operazioni delle autorità sono state intensificate; nel solo mese di gennaio 2018 ad esempio, secondo i dati del Ministero della Difesa sono stati uccisi 13 terroristi, 23 persone sono invece stati arrestati.

Inoltre, sempre secondo Algeri, sono stati scovati 70 nascondigli terroristici, 21 fucili Kalashnikov, 2 mitragliatrici pesanti, 47 bombe, 33 depositi di munizioni, 10 missili antiuomo, 9 proiettili e 19 fucili; un vero e proprio arsenale, tolto dalle disponibilità dei miliziani. Ai successi militari, si contrappongono però i rischi di un innalzamento dello scontro: ecco perché i cinque soldati morti nelle scorse ore, oltre a provocare commozione, hanno iniziato a destare non poche paure e perplessità in seno alla popolazione algerina.

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